Brilli in bici, la Consulta usa il pugno di ferro

Il tribunale di Trento aveva provato a salvare i ciclisti colti ebbri sulle due ruote ma per i giudici costituzionali è tutto regolare: la denuncia è legittima



TRENTO. Il Tribunale di Trento ci ha provato a «salvare» i ciclisti che si mettono in sella dopo aver bevuto troppo e vengono beccati. Ci ha provato rivolgendosi alla Corte Costituzionale e sollevando una questione di legittimità costituzionale. Ma loro, i giudici costituzionali, l’hanno dichiarata inammissibile.

Il punto di partenza è un procedimento penale contro un uomo che era stato accusato di guida in stato di ebbrezza dopo esser stato colto alla guida di una bicicletta con un tasso alcolemico superiore al 2.7 quando il limite di legge è di 0.5 (grammi di alcol per litro di sangue). Il tribunale si è rivolto alla corte costituzionale spiegando che «il legislatore pur potendo utilizzare sostantivi maggiormente generici nella condotta censurata (l’ebbrezza, ndr), ne sceglie uno e cioè “guida”, che si connota per essere comunemente applicato in tema di automezzi, vale a dire autoveicoli». Da questo fa discendere che la norma non possa essere applicata a tutti i veicoli indicati nell’articolo 47. Dove si trovano anche le bici, appunto. E va avanti sottolineando come alla sanzione penale si accompagna la sospensione della patente e in determinate ipotesi la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato. Le violazioni che vengono evidenziate sono le seguenti. Ci sarebbe una violazione del principio di ragionevolezza e che «alla luce dell’oggetto giuridico del reato in esame, che mira a proteggere la sicurezza della circolazione stradale e indirettamente l’incolumità personale, la conduzione di veicoli non a motore in condizioni di alterazione psicofisica potrebbe comportare qualche pericolo per la sicurezza stradale, ma tale rischio sarebbe quantitativamente diverso e certamente molto inferiore quello creato, in analoghe circostanze dai veicoli a motore. Tale osservazione rende preferibile l’interpretazione restrittiva della norma» escludendo quindi le biciclette. Le motivazioni proseguono spiegando che sarebbe dunque «sproporzionato e irragionevole punire con la stessa sanzione prevista per i veicoli a motore fattispecie che, come quella in esame, destano minor allarme sociale». Il tribunale censura la norma per violazione del principio di proporzionalità della pena interpretato alla luce del principio di ragionevolezza, e anche il principio di determinatezza della legge.

La Corte Costituzionale ha preso la sua decisione qualche settimane fa e ha dichiarato la «manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale».

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