Bressan: «I politici reimparino a lavorare assieme»

L’arcivescovo: «Dopo la guerra Dc e Pci crearono una Costituzione mirabile». Una lezione oggi più che mai attuale: «Via gli egoismi per il bene del Paese»


di Paolo Morando


TRENTO. È’ un messaggio pasquale rivolto alla politica, quello di monsignor Bressan. Riceve il cronista dopo aver incontrato due eritrei, un religioso e una donna, impegnati nell’aiutare i connazionali in fuga. Profughi che però, con la via libica ora chiusa, in centinaia finiscono reclusi nelle carceri egiziane o, peggio ancora, sequestrati da bande di beduini, nel deserto, ostaggi in condizioni disumane in attesa di impossibili riscatti da parte dei familiari. Parlare di speranza non è facile, con questo viatico. Ma l’arcivescovo Luigi Bressan non si sottrae. E nell’imminenza pasquale, alla comunità trentina lancia un messaggio preciso e impegnativo: «Se il Signore ha accettato la croce, lo stesso vale per noi. La vita è fatta di sacrifici e fatiche. Che dobbiamo affrontare con fiducia». E mostra due stampe, di altrettante opere di Matthias Grünewald, pittore tedesco del Cinquecento. Altare di Issenheim, museo di Colmar, Alsazia: il dolore della Passione e la gloria della Resurrezione. «Si parte dall’oscurità - spiega Bressan - con soldati avvolti dalla notte e di cui non si intravede neppure il volto, poi si sale e la luce si fa intensissima, tanto che vi si perde lo stesso viso del Cristo risorto. Ecco, questa è la Pasqua che ci deve dare speranza. Soprattutto ai giovani. Lo ha detto loro anche papa Francesco: non lasciate che ve la rubino, sarebbe grave per voi e per l’intera società».

Monsignore, i tempi che corrono lasciano però ben poco spazio alla speranza. Proprio a partire dai giovani.

Certa televisione, per lungo tempo, ha fatto credere a tutti che la vita sia cosa facile. In realtà faticare è indispensabile: lo studio, la ricerca, l’impegno... E oggi che sembra tramontare un ventennio di benessere, fin qui acquisito come costante e crescente, oggi che se ne gode sempre meno, ci si trova a dover ricostruire, a ripartire dalle fondamenta. E servono modalità nuove, perché la società cambia rapidamente.

Ha fatto riferimento all’ultimo ventennio. Che è quello caratterizzato dal cosiddetto “berlusconismo”. Si riferisce anche alle sue discusse ricadute culturali?

Accettare la croce, cioè accettare i sacrifici, significa prima di tutto cambiare mentalità. E certo, è prima di tutto la cultura a dover cambiare. La cultura e i comportamenti. Che non possono essere più segnati dall’individualismo, ma devono essere indirizzati verso un impegno comune. Io sono del 1940 e ricordo i primi anni della ricostruzione post bellica, diciamo quelli fino al 1955. Sono stati anni molto duri, ma lavorando insieme l’Italia ce l’ha fatta. Tanto che subito dopo, tra il 1957 e il ’58, si parlava addirittura di “miracolo italiano”.

E subito dopo è arrivato il “boom” economico.

Già. Allora questa Italia così prostrata e così disprezzata, senza grandi risorse naturali se non la propria inventiva e la propria capacità, riuscì a risollevarsi grazie al proprio coraggio, alla voglia di sacrificarsi. Ma, ripeto, facendolo assieme. Al di là delle posizioni di parte.

E oggi? Nella disastrata politica italiana, non sembra affatto facile mettere assieme le parti. Che anzi sembrano molto rissose l’una con l’altra.

Quella di allora è una lezione validissima per l’oggi. Mi meraviglio sempre di come in quegli anni parti diversissime riuscirono a elaborare la nostra splendida Costituzione: un Pci fondamentalmente legato a Mosca, una Dc altrettanto decisa, i partiti della destra monarchica...

Sulla carta, posizioni inconciliabili. Più di quelle a cui assistiamo oggi?

Senz’altro. Eppure ne è sortito un mirabile testo di sintesi. perché si lavorava assieme. E assieme si cercava di arrivare al meglio, attraverso il confronto. Si sono guardati in faccia e si sono capiti. E hanno saputo dire: qui dobbiamo lavorare per il bene del Paese.

Sta insomma dicendo: perché non farlo anche ora?

Già, perché no? Questo deve essere lo spirito.

È ottimista sulla possibilità che i partiti alla fine riescano a trovare un qualche accordo?

Alla lunga è l’unica soluzione. Ma spero che lo sia, diciamo così, anche alla breve. Altrimenti sarebbe un disastro. Dopo una guerra, ci si deve sempre rialzare assieme.

E il Trentino? Stiamo un po’ meglio rispetto al resto d’Italia, ma anche qui la crisi economica morde a fondo.

La nostra situazione socioeconomica è un po’ diversa. Ma è vero, le difficoltà crescono. Abbiamo imprenditori a cui guardo con grande ammirazione, agricoltori che lavorano duramente ogni metro quadro di terreno, la benedizione del turismo... E poi la grande risorsa delle associazioni di volontariato: un recente rapporto del Cnel pone il Trentino al primo posto. Inoltre qui i tessuti familiari sono forti ed estesi: tra parenti ci si aiuta. E avere un governo autonomo, vicino alla popolazione anche geograficamente, contribuisce al tutto.

Ma intanto anche qui, giorno dopo giorno, le nuove povertà si moltiplicano.

Lo so bene. Ogni giorno riceviamo richieste di aiuto. Noi offriamo quanto possiamo. Cercando soprattutto di accompagnare le persone. Perché nessuno va lasciato solo, mai. Non solo nei giorni di Pasqua.













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