«Botteghe storiche? Troppo tardi»

I negozianti approvano l'iniziativa, ma per loro bisognava pensarci prima


Sandra Mattei


TRENTO. «Facile dire, valorizziamo le botteghe storiche. Se solo ne fossero rimaste...». E' il commento più ricorrente, quando ti rivolgi ai (pochi) commercianti che resistono di fronte all'ondata inarrestabile dei franchising e dell'omologazione di marchi e firme. Insomma, alla Provincia e al Comune che vogliono salvaguardare il commercio di qualità con la targa di «bottega storica trentina», quelli rimasti rispondono «troppo tardi». Ed in effetti, è più facile ricordare le botteghe che hanno chiuso (per citarne alcune: dal Crepaz al Failoni, dal Facchinelli al Bruni, dal De Iorio al Chesani, fino al Segatta) piuttosto che quelle rimaste.

Tentiamo comunque un pellegrinaggio in quelli che sono i templi del commercio «storico». Famiglie che possono candidarsi alla denominazione di «bottega storica trentina», con almeno 50 anni di attività, mantenendo la stessa merceologia. Il giro al Sass che per anni è stato sinonimo di acquisti, offre ancora qualche bottega storica, anche se si tratta di eccezioni. S'inizia dai casalinghi Candotti, in via San Pietro, gestito dalle sorelle Maria Grazia e Elisabetta, con papà Vinicio che supervisiona, nonostante abbia superato da tempo l'età della pensione. Cosa ne pensano delle targhe alle «botteghe storiche»?  «E' una bella cosa, - risponde Maria Grazia - peccato che il Comune non faccia niente per il centro storico. Le uniche iniziative per animarlo sono le Vigiliane, che si svolgono tra via Mazzini e piazza Fiera. Ma il centro storico, ai tempi del Concilio, era questo! Pensi che i giovani non sanno più cos'è il giro al Sass». Morale: «La politca dovrebbe pensare ad animare tutto il centro ed a contenere il costo degli affitti. Ora, invertire la tendenza è difficile».

Saliamo in via Marchetti, per arrivare al Buffa, rimasto tale e quale dall'inizio degli anni Cinquanta ad oggi, sia per le vetrine bombate che per gli scaffali di maglie, canottiere e telare che arrivano fino al soffitto. Elena Buffa è orgogliosa del negozio ereditato dal padre: «Cerchiamo di mantenerlo intatto - spiega - perché la nostra clientela questo chiede: vuole le maglie e la biancheria classiche, che altrove non trova. Le botteghe storiche? Non conoscevo l'iniziativa, ma forse il Comune avrebbe dovuto imporre regole più severe perché non arrivassero le catene a soppiantare i negozi di famiglia».

Il discorso non cambia, anche rivolgendoci ad un rappresentante della nuova generazione: è Fabio Pretto, che tiene alta la tradizione ereditata dal padre Silvio e prima dal nonno, Aldo, del commercio di abiti. «Noi continuiamo l'attività - spiega - aperta da mio nonno nel '28. E' dura riuscire a mantenersi sempre sulla breccia. L'iniziativa di premiare le botteghe storiche va bene, ma bisognerebbe anche pensare a favorire l'attività commerciale. Quale privato può intraprenderla oggi?».

E' drastica Gabriella Capuzzo, che in piazza Pasi propone profumi e creme, attività avviata dal padre Tony nel '35. «Mi sembra un'iniziativa demagogica e schizofrenica - commenta - perché da un parte si premiano le botteghe storiche, ma dall'altra si ampliano gli orari d'apertura, così i piccoli commercianti non reggono la concorrenza. E poi il discorso delle botteghe storiche deve puntare su prodotti che abbiano una valenza di qualità, che diano appeal al centro storico, come per esempio riesce a fare Bolzano».













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