Botteghe storiche, inizia la carica

Ecco le prime targhe. «Il centro deve avere il suo percorso della tradizione»


Luca Marognoli


TRENTO. Alla coltelleria San Marco sono abituati ai turisti che entrano per vedere le padelle battute a mano come una volta, le affettatrici d'epoca restaurate e i vecchi arnesi dei "molèta" rendenesi. All'erboristeria Naturerbe, l'ex Cappelletti, con vista sulle mura merlate di piazza Fiera, i clienti vengono ancora a cercare il celebre elisir Novasalus, amaro depurativo, o il liquore digestivo Rutaben. Scendendo gli scalini della trattoria Al Volt, in via Santa Croce, l'avventore sa che potrà assaggiare sapori di un tempo, come il "peclin", l'aringa affumicata con patate.

Un passo indietro nella storia, di 150 anni fa per la coltelleria che ha visto succedersi dietro il bancone i Tomasini, i Righi, i Lorenzi e dal 1966 i Valentini; di 91 anni per i Cappelletti, che grazie all'intraprendenza di Giuseppe e fratelli nel 1920 inaugurarono sulla piazza uno stabilimento chimico industriale ma che ben 11 anni prima, nel 1909, avevano aperto in via Oss Mazzurana una società per la "vendita di coloniali all'ingrosso e minuto"; di 115 anni per il "Volt", la più antica trattoria di Trento fuori le mura.

Il giorno dopo Ferragosto, il Comune ha attribuito a questi tre esercizi la qualifica di "bottega storica trentina". Le prime tre dopo la coltelleria Santa Croce, che vanta la primogenitura. Merceologia diversa ma un denominatore comune: la tradizione. Non "musei", ma luoghi vivi proprio perché vissuti da clienti e avventori, che in questi locali vanno a cercare merci, cibi ma anche identità e atmosfere della Trento che cambia restando fedele alla sua storia. Per ottenere la qualifica occorre avere un'anzianità di almeno 50 anni. «L'imprenditore naturalmente può cambiare», spiega l'assessore Fabiano Condini. «L'importante è che ci sia una continuità nell'azienda».

Ai destinatari va un doppio beneficio: di immagine, attraverso la possibilità di esporre una targa all'esterno del locale, ed economico, con una maggiorazione del contributo provinciale di una decina di punti percentuali. «Questa misura fa parte di un pacchetto che punta a non banalizzare l'offerta commerciale allineandola agli stereotipi più diffusi», continua Condini. Un'altra di queste è il divieto di cambiare la destinazione d'uso delle attività inserite nel perimetro del centro storico, per impedire il subentro di banche, agenzie immobiliari e altre attività di servizio. «Purtroppo le vecchie aziende commerciali che caratterizzavano il mercato cittadino sono state spazzate via, come Macconi, Postai, Ziglio, Ranzi e Chesani. Una tendenza partita negli Anni 70 che ora si sta invertendo. Abbiamo appena inaugurato il punto vendita Sait di piazza Cantore: oggi non c'è più la corsa a nuove superfici ma si riqualifica l'esistente per guadagnare in produttività».

Matteo Valentini, 32 anni, è fiero delle sue radici rendenesi. «Torno a casa a Javrè tutti i fine settimana», dice, mentre affila un coltello nella bottega del padre Silvano. «Questa qualifica è un vanto personale, ma nel lungo periodo spero che diventi qualcosa di più: che ci sia un coinvolgimento di tutte le botteghe storiche in occasioni come il mercatino di Natale. Bisognerebbe anche fare una mappa per i turisti: la gente che viene a Trento cerca questo, le cose tipiche e l'atmosfera». Naturerbe è ancora dei Cappelletti ma a gestirla, dal 2002, è Emanuela Boschetti assieme al collega Alberto Degasperi. Iniziò diciassettenne, come dipendente: «Io sono qui da 32 anni, di macchine in piazza Fiera ne ho viste passare tante all'epoca», dice. «Il dottor Giampaolo Cappelletti era un po' come un papà per me e sono orgogliosa di essere qui. Chi viene a cercarci sa che c'è un'anzianità aziendale e un nome storico, la cui insegna è ben visibile sulla facciata».

Ai fornelli del "Volt" c'è Gianni Tomasi con la famiglia, tutti trentini doc. «La gestione più lunga fu della signora Ester Giovannini che è rimasta qui fino al 1995», racconta. «Le botteghe storiche servono per la riqualificazione del centro e anche per costruire un percorso alternativo, improntato alla tradizione, come avviene in tutte le città. Bisogna farlo anche qua, ma senza sovrappopolarlo. Deve essere una cosa discretamente selettiva, dove l'esercizio sia inserito con dei riferimenti storici. Nel nostro caso, il fatto di essere stati per decenni un punto di riferimento per i viaggiatori di Rovereto, Riva, Verona, che scendevano dalla corriera (ma anche dalle carrozze) e sostavano per mangiare la trippa. Questa era un'arteria importante anche per portare i rifornimenti di derrate durante il Concilio. Per l'epoca fu uno sforzo incredibile».













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