Attorno allo stesso tavolo la sofferenza diventa gioia 

Gli incontri del consiglio pastorale del Duomo. Condividere il sentimento per riflettere fra la malattia e la morte, piccoli gesti che sono in grado di parlare della grandezza della vita


Danilo Fenner


Trento. Una tavola apparecchiata con bibite e dolciumi. Intorno una ventina di persone: ma su quel tavolo, idealmente in mezzo a loro, c’è qualcos’altro da condividere. Magari, come nei due incontri dell’anno scorso, le difficoltà di una coppia sposata o la relazione con i figli adolescenti. Oppure, come nell’incontro di ieri pomeriggio, un “argomentone” tosto, di quelli che di solito si tende a non affrontare, se non a eliminare proprio dalla nostra quotidianità anestetizzata: la sofferenza.

“Attorno a un caffè” è il titolo del ciclo proposto dal Consiglio pastorale della parrocchia del Duomo. Sono incontri a cadenza annuale, o giù di lì. Aperti a tutti, intendono dare una mano a chi si trova alle prese con le “prove” che la vita spesso ci sottopone, confrontandosi con qualcuno che in quei problemi ci è passato e ha qualcosa da dire al riguardo.

È una comunità intera che si mette in ascolto, ha sottolineato il parroco don Andrea Decarli nel salutare i presenti. E facendosi poi da parte per tutto l’incontro, perché - ha spiegato - qui sono le persone le protagoniste, non i preti.

Per il tema della sofferenza affrontato ieri pomeriggio (e che si collega idealmente alla Messa dei malati che viene celebrata stamani in Duomo) sono state chiamate a portare la loro testimonianza Claudia Dorigoni e Mariachiara Valentini. Entrambe hanno raccontato, con molta semplicità, la loro esperienza di sofferenza, vissuta sulla propria pelle per la malattia di un congiunto o perché costretti a portare su di sé la croce di un male che metterebbe a dura prova la resistenza psicologica e il morale di chiunque. Senza piagnistei e senza esibizionismi. Inchiodando i presenti per più di due ore di ascolto e di condivisione.

Molti gli spunti di riflessione che ne sono emersi. Ad esempio, il tema dell’accoglienza nelle strutture sanitarie o di lungodegenza. «Il malato e i suoi familiari devono sentirsi a casa - ha spiegato Claudia Dorigoni. - Occorre inoltre lasciare che i familiari si mettano a disposizione anche di altri malati e di chi li segue, che possano cioè diventare una risorsa utile anche per altri».

Mariachiara Valentini ha posto l’accento sul fatto che la malattia ti cambia, ti porta a confrontarti con la tua improvvisa fragilità. Non tutti ci riescono: alcuni incattiviscono, si chiudono in se stessi, non hanno il coraggio e l’umiltà di chiedere aiuto.

È qui che entra in gioco la comunità. E l’esempio più emozionante di come questo possa accadere l’ha fornito alla fine una dei presenti, Elena, con il racconto di un episodio esemplare: una sorta di “staffetta” di solidarietà organizzata spontaneamente qualche anno fa dalla comunità del Duomo per un parrocchiano gravemente malato in ospedale. Numerose persone si sono alternate al suo capezzale, nelle sue due ultime settimane di vita, senza mai privarlo di una presenza amica, fosse anche solo - come è stato raccontato - per riavviargli una ciocca di capelli sulla fronte.

Piccoli gesti, capaci di parlarci però della “grandezza della vita”, per usare le parole di Mariachiara Valentini. Di dirci che nel ventre scuro del dolore ci possono essere anche speranza, positività, e perfino gioia.













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