Aquafil, la busta paga sarà più leggera

Ieri l’incontro con i sindacati: proposti tagli salariali in cambio del mantenimento dei livelli occupazionali


di Matteo Cassol


ARCO. “Modello Cartiere del Garda” effettivamente in vista, per i poco meno di cinquecento lavoratori dell’Aquafil, che saranno chiamati ad affrontare dei sacrifici economici in cambio del mantenimento dei livelli occupazionali: è questo ciò che è emerso dall’incontro avvenuto ieri in Confindustria a Trento tra i vertici della multinazionale arcense (il consigliere delegato Adriano Vivaldi, il responsabile produttivo Giuseppe Crippa e il direttore del personale Franco Scalcinati), i rappresentanti sindacali di categoria (Mario Cerutti della Filctem-Cgil, Marco Ravelli della Femca-Cisl e Alan Tancredi della Uiltec-Uil) e la rsu aziendale.

Ancora da quantificare anche solo a grandi linee l’entità dei tagli in busta paga che saranno richiesti: il faccia a faccia è stato solo politico-introduttivo, dopodiché oggi in giornata la dirigenza dovrebbe fornire i dati per consentire ai sindacati di capire di quali cifre si parli e per formulare la propria controproposta. Per domani o giovedì sarà convocata un’assemblea straordinaria per mettere al corrente i dipendenti della cosa, mentre il prossimo appuntamento ufficiale della trattativa con la controparte (il “secondo round”) è previsto per l’8 novembre, quando si comincerà a entrare più in dettaglio nei numeri della manovra.

L’azienda ha presentato una situazione anche di prospettiva che risente da una parte della crisi congiunturale (col mercato che si è contratto in maniera considerevole, incidendo sulla produzione), dall’altro della recente acquisizione dello stabilimento tedesco (quello dalla Xentrys dalla Domo Chemicals) che fa un prodotto simile (positivo dal punto di vista del guadagno di quote, ma che espone a riorganizzazioni interne anche massicce: si parla ad esempio di un dimezzamento – qualcosa come 150 unità “tagliate” – del personale in Germania, dove peraltro i costi occupazionali ed energetici sono inferiori). Per Arco non si parla di esuberi, ma di un sacrificio salariale che permetta appunto di abbassare il costo del lavoro per tenere una compatibilità di equilibri all’interno del gruppo (che in America e nel sud-est asiatico guadagna in doppia cifra percentuale, mentre in Europa è in crisi, una combinazione che di per sé potrebbe fare temere una delocalizzazione oltreoceano che questa operazione scongiurerebbe, almeno per il momento), saturando “in cambio” la produzione (spostando volumi dalla Germania) e mettendo in sicurezza l’occupazione, radicando Arco come baricentro continentale.

Il sistema di accordo che si profila, come si accennava, sarà per molti aspetti simile a quello adottato a inizio anno dalle Cartiere del Garda (dove per evitare lo stop al ciclo continuo si è acconsentito a tagli da un massimo di 2.861 euro netti a un minimo di 1.158 euro netti annuali per ciascun lavoratore, a seconda di ruoli e caratteristiche, per un totale da limare di 3 milioni di euro all’anno), per quanto si agirà su voci e con pesi diversi. I sindacati studieranno la strategia migliore per limitare i costi (ammanchi in busta paga) in funzione dei benefici (produzione e posti assicurati), ma la misura (presentata come espediente cautelare di salvaguardia per i prossimi tre anni, dopodiché tutto, in un verso o nell’altro, potrebbe essere rimesso in discussione) senz’altro sarà sensibile. Come nel caso delle Cartiere, poi, il potere contrattuale da parte dei sindacati sarà per forza di cose limitato: si potrà dibattere sui dettagli e sulla ripartizione interna del prezzo da pagare, ma quando un’azienda chiede qualcosa del genere (“minacciando” di diminuire i posti di lavoro) è difficile, se non impossibile, uscirne indenni. Per quanto il boccone sia amaro, si può solo puntare a limitare i danni, consci del fatto che nel frattempo molti colleghi, nell'ambito di altre industrie che ad esempio stanno chiudendo, si trovano a passi decisamente peggiori.

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