LA TESTIMONIANZA

Appalti dell’Università: «Io eseguivo solo ordini» 

Lucilla Giuri, citata in giudizio anche dalla Corte dei Conti per gli affidamenti diretti racconta la sua verità: «Lì dentro tutti sapevano. Non eravamo noi a decidere»


di Francesca Quattromani


TRENTO. «Ho sempre e solo fatto il mio dovere, eseguivo degli ordini in qualità di impiegata alla segreteria tecnica della Direzione Patrimonio Appalti dell’ Università di Trento». Lucilla Giuri racconta la sua verità. Rinviata a giudizio sul fronte penale per la vicenda delle gare d’appalto in Università, in merito agli affidamenti diretti e citata in giudizio, sul fronte erariale, dalla Procura della Corte dei Conti, difende la propria persona e la propria professionalità.

Nella Direzione anche il dirigente Rinaldo Maffei, pure a giudizio, riceveva ordini dai suoi superiori: Rettorato, Direzione generale, personale docente e ricercatore. Complessa la struttura della Direzione, il clima all’interno, gli animi esacerbati di alcuni tecnici, «non dipendevano certo da un loro inutilizzo».

Tra le accuse mosse a segretaria e dirigente Maffei quella dell’affidamento degli incarichi a professionisti esterni, senza quindi utilizzare quelli a disposizione della Direzione. Quest’ultima è suddivisa in uffici, ogni divisione ha un responsabile e delle mansioni, come l’ufficio acquisti o quello delle gare d’appalto.

La Divisione sviluppo edilizio aveva seguito grossi lavori, come la realizzazione del Polo scientifico a Povo o la Facoltà di lettere, mentre la Divisione gestioni immobili era designata alle ristrutturazioni e alla manutenzione anche dei palazzi sottoposti a vincolo, come la Manifattura di Rovereto. I fatti contestati risalgono al 2013-2014, quando c’erano da terminare il Polo Scientifico, il Data Center d’ Ateneo, la biblioteca di Ingegneria, la Manifattura.

«Per ristrutturare il Rettorato ci diedero 8 mesi di tempo- racconta Giuri -era il 2013. Otto mesi dal momento in cui i vertici si riunirono per stabilire le varie destinazioni, tra cui il Muse».

Si doveva trasformare un ex museo, quello di via Calepina, in uffici per il Rettorato. Una figura tecnica, un impiantista, venne trovato all’esterno. I tecnici della Direzione erano impegnati in altre opere (in altri casi avrebbero rifiutato lavori che consideravano di basso profilo, oppure altri lavori, in particolare quelli che non prevedevano l’incentivo Merloni) così si disposero gli affidamenti. Prima di arrivare al progetto esecutivo servivano autorizzazioni, servivano opere propedeutiche, poche le gare che si sarebbero potute fare. Per una gara servivano tre mesi.

«Affidare direttamente, in queste condizioni, era necessario ai fini istituzionali, non certo personali. Queste procedure si sono sempre fatte, non solo in Università, ma in vari enti pubblici». In Ateneo sapevano tutto, chiude Giuri. «Noi dovevamo solo eseguire».













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