Andrea Castelli,  per la festa dei 70 anni  il «sigillo» della città

Quando, erano le 8.58 di martedì scorso, sulla sua pagina Facebook è apparso uno dei suoi inconfondibili disegni - un’aquila dallo sguardo non propriamente accondiscente - in molti si sono detti: ci...



Quando, erano le 8.58 di martedì scorso, sulla sua pagina Facebook è apparso uno dei suoi inconfondibili disegni - un’aquila dallo sguardo non propriamente accondiscente - in molti si sono detti: ci risiamo. Dopo la serie di vignette dedicate all’orso M49 in fuga, il nostro ci prepara ad un’altra delle sue. Meno 6 alla sorpresa, recitava il breve testo che accompagnava il disegno. Il mistero è stato poi presto svelato. Se il 18 febbraio eravamo a meno 6, oggi, 24, la sorpresa si materializza. Andrea Castelli - è lui il protagonista - va a ricevere dal sindaco Alessandro Andreatta, ore 18, Palazzo Geremia, il riconoscimento dell’Aquila di S. Venceslao, Antico sigillo della città di Trento. Il riconoscimento comunale - che è diverso da quello provinciale, sottolinea qualcuno con un distinguo che appare meno sottile di quel che potrebbe sembrare a prima vista - che iscrive chi lo riceve nell’albo d’oro di coloro che hanno fatto, nei più svariati campi, la storia della città medesima.

Per una voluta coincidenza (così non fosse, sarebbe ancora più bello) Andrea Castelli riceve il sigillo nel giorno in cui festeggia il suo compleanno. 24 febbraio 1950, 24 febbraio 2020. Settant’anni dell’attore teatrale più conosciuto ed amato (se volete aggiungere più bravo, ci sta) di casa nostra, al quale oggi va detto grazie - nella modesta opinione di chi digita queste righe e non nasconde di avere sempre voluto bene a quest’uomo plasmato attorno ad una burbera umanità, ricco di buone ed importanti letture, fustigatore mai moralista dei vizi privati e delle pubbliche virtù di quell’homo tridentinus ancora non del tutto decifrabile, immancabile in sella alla sua bici per le strade della città, immancabile al fianco di Nicoletta - soprattutto per una cosa: l’essere andato fuori casa a conquistare la definitiva consacrazione.

Qui la forza della sua scelta, anni fa. Decidere che quel che aveva costruito con “I Spiazaroi” - dal 1975 al 2000, un quarto di secolo sui palcoscenici, a strappare risate e applausi, ad instillare qualche necessario dubbio - non bastava più. Che era il momento del grande salto. Li ricordate sul palcoscenico, agli esordi, con “Teleroto”, profetica chiassosa preveggenza di come quella scatola luminescente chiamata televisore avrebbe segnato le nostre vite? Se pensiamo che oggi milioni di concittadini si abbeverano alle fontane avvelenate di personaggi quali Barbara D’Urso (per dirne una, ce ne sarebbero cento), si capisce bene di che si parla. Eppure è lo stesso Andrea che in questi ultimi anni - messe stabili radici al nord di Salorno e a sud di Borghetto… - conquista pubblico e critica di tutta Italia e non solo con la straordinaria drammatica interpretazione di “Avevo un pallone rosso”, il lavoro teatrale che ha indagato la tragica vicenda di Margherita Cagol, la brigatista, sua e nostra concittadina.

Chissà se torneranno, oggi, alla consegna dell’Aquila, queste suggestioni. Gli anni del teatro dialettale comico che qualcuno, di molto sbagliando, ritiene essere la sua sola cifra artistica. Ricordiamolo: attore sì, ma anche autore, doppiatore, lettore (gli è riuscito, leggendo le lettere di Alcide De Gasperi, di trasformare quel che poteva essere uno stanco rituale in politichese in un momento di emozione autentica).

Alla rete Andrea Castelli ha affidato qualche pensiero, su quel che oggi gli succede: “La strada è stata abbastanza lunga, divertente, faticosa a volte, ma ricca però di soddisfazioni. Tutti i miei amici, anche quelli che non credono di averlo fatto, mi hanno dato o insegnato qualcosa. Nicoletta mi è sempre stata vicina, prima cavia delle mie idee, moderatrice e sorvegliante, sempre attenta all'eleganza dello stile, compagna di vita e grande organizzatrice. Poi i primi compagni d'avventura, “I Spiazaroi": grazie a loro ho tastato il polso del teatro trentino di quegli anni, ormai bolso, e di quanto invece si poteva ancora fare, senza pensare alle "cover”, scimmiottando i classici, ma dicendo qualcosa di diverso, fresco, anche a costo di sbagliare, provando. Il teatro è fatto di "prove". Si prova... Quante avventure! Poi Marco Bernardi, il quale mi apre una porta che avevo sempre fissato con timore reverenziale e mi dice "Adesso guarda fuori!". Fuori ho trovato il teatro professionale, (già da qualche anno, essendomi licenziato dalla Rai, ero un professionista, ma le tourneè col Teatro stabile di Bolzano furono la consacrazione), ho conosciuto attori bravi dai quali ho rubato tanto, come mi suggeriva di fare Dario Fo (mi sembra fantascienza poter dire che l'ho conosciuto, frequentato e che mi chiamava "Fiöl"...). Mi sono riconciliato con Goldoni e di riflesso, mi sono riavvicinato a mio padre, grande estimatore del veneziano ma che io, figlio burbanzoso e ribelle dovetti per forza contrastare. Quando mai un figlio diciottenne concorda con le visioni paterne? Grazie a Bernardi ho potuto mettere in scena uno dei miei autori preferiti, il Ruzante, assieme al compianto Antonio Caldonazzi. Grazie a Marco ho conosciuto un altro grande regista: Carmelo Rifici il quale mi ha tirato fuori doti che io non sapevo nemmeno di possedere e, con una semplicità disarmante, mi ha fatto portare il nostro dialetto trentino al Piccolo di Milano, a Lugano, Torino... a Roma, fino a Napoli con grande successo. Che emozioni e quante paure... e quanta stanchezza gioiosa, alla fine. Quella del lavoro fatto bene, senza lamentarsi, senza sbuffare. Ancora grazie a lui il "pallone rosso" della Dematté mi ha portato critiche vere, autorevoli, importanti. Angela Dematté mentre scriveva la parte del padre mi confidò che pensava a me, ancor prima di vincere il premio Riccione, ancora prima di sapere se il suo copione avrebbe trovato una qualche compagnia e così il mio pensiero oggi va anche a lei. Un grazie a Walter Zambaldi, direttore dello Stabile di Bolzano, che ha inventato la poesia nelle case dei bolzanini, io con Emanuele Dell’Aquila. Ed ora questa strana coppia sarà a Trento (“nella mia città, dopo tanto tempo…” ha scritto sul suo sito, ndr.) dal 14 al 26 aprile con “La meraviglia”. Insomma non finirei più se volessi nominarvi tutti… In questa storia ci siete dentro tutti, pensate a questo. Quanta fortuna ho avuto ad incontrarvi! Grazie per essermi stati vicini e adesso che ho imparato tutte queste cose, posso finalmente cominciare!”

Andrea Castelli comincia, a 70 anni (auguri!) oggi, con il Sigillo dell’Aquila. Sembra di sentire uno slogan degli anni della contestazione. "Riprendiamoci la città". Andrea Castelli oggi, finalmente, si riprende la sua città. O forse è la città che ha capito l’importanza di tenerselo stretto, uno dei suoi figli migliori.

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