Amianto, 50 milioni per la bonifica dei tetti

La stima dei legislatori provinciali: seimila le coperture in tutto il Trentino Nardelli: «La nostra normativa del 2012 ha introdotto l’obbligo di intervenire»


di Luca Marognoli


TRENTO. Cinquanta milioni di euro: a tanto ammonta il conto che la Provincia dovrebbe pagare per bonificare tutte le coperture in eternit diffuse sul territorio trentino. Una cifra calcolata sulla base della stima del numero di tetti in cemento-amianto presenti: circa 6 mila, per una superficie totale di 2 milioni e 700 mila metri quadrati.

Tali dati (forniti dal dottor Giuseppe Parolari, coordinatore all’epoca del Gruppo interistituzionale per la mappatura dell’amianto) erano stati prodotti a corredo della legge sulla “Protezione dai pericoli derivanti dall’amianto” approvata dal consiglio provinciale il 22 marzo 2012 ed entrata in vigore il 19 aprile successivo. Si trattava di un testo unificato di due disegni di legge, che avevano visto come primo firmatario Michele Nardelli in un caso e Claudio Eccher nell’altro.

«La legge nazionale non impone l'obbligo di bonifica se non attraverso l'iniziativa dell'autorità sanitaria», spiega Nardelli. «Con la nostra l’intervento è diventato obbligatorio, una volta fatto il monitoraggio e stabilito il grado di gravità. Ovviamente partendo dalle situazioni di maggiore pericolo, ma si parla comunque di manufatti che nella migliore delle ipotesi hanno 22 anni, visto che l’eternit è stato messo al bando nel 1992». La bonifica è stata posta a carico del proprietario, prevedendo però un sostegno economico da parte della Provincia nella misura massima del 70% della spesa ammessa. Per farlo erano stati messi a disposizione 500 mila euro per il 2012 e 1,5 milioni per gli anni 2013 e 2014. Sgravio Irap invece per le aziende che avessero deciso di rimuovere l’amianto dalle proprie sedi.

«Dopo la legge era stata registrata una significativa crescita del livello di bonifica, con centinaia di domande presentate dai cittadini per approfittare dei benefici economici previsti». Ma il processo è in corso: «C'è da lavorare perché le domande siano evase, garantendo gli opportuni rifinanziamenti», continua Nardelli. Che però osserva come «la legge non sia stata applicata in pieno», soprattutto nella parte relativa all’informazione della cittadinanza sulla materia e sulla formazione dei lavoratori dell’edilizia. «Servirebbe una maggiore consapevolezza che questa cosa ce l'abbiamo attorno. Il Trentino è messo meglio che altrove ma ci sono alcune zone - quelle che hanno avuto una forte presenza artigianale, come Trento, Rovereto e Rotaliana - dove l'uso di amianto è stato maggiore. Anche nelle valli ci sono numerose stalle con coperture in eternit: io ero partito da quelle di Fiavè e delle Giudicarie, dove l'impiego di amianto era massiccio».

L’aspetto economico non va trascurato, soprattutto nel periodo di crisi che stiamo attraversando. «Il monitoraggio è stato importante - non in tutta Italia questa cosa è stata fatta - ed aveva evidenziato una quantità di tetti in eternit piuttosto notevole. Il problema è che gli stanziamenti fatti fino ad ora riescono a coprire una parte abbastanza esigua della bonifica che andrebbe fatta».

Le coperture in eternit - come affermava ieri in un’intervista al Trentino il dottor Parolari - produce rischi molto limitati per la salute se restano integre. «Sì, però l'usura è l'elemento che determina la separazione della fibra di amianto dal cemento», afferma Nardelli. «E dopo 20 anni di esposizione alle intemperie è inevitabile che ci sia. Inoltre se si ristruttura un edificio, lei pensa che ognuno che si imbatte in una struttura di amianto interrompa i lavori per fare lo smaltimento? In discarica è molto frequente vedere pezzi di eternit. Molti non sanno neppure di avere a che fare con il cemento - amianto...».

Perché una legge trentina sull’amianto? «Sapevo che la Provincia aveva commissionato l'indagine e bisognava intervenire sulle incongruenze di una legislazione nazionale che non ha prodotto di fatto una significativa riduzione del pericolo», dice Nardelli. «Noi avevamo la possibilità di farlo sfruttando le prerogative autonomistiche».













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