Alle vedove bosniache le mucche del Trentino

Partono oggi dalla Federazione allevatori 28 capi destinati a donne e giovani che cercano di sopravvivere dopo la guerra: «Così li aiutiamo a crearsi un lavoro»


di Carlo Bridi


TRENTO. Partono oggi dalla Federazione Provinciale degli Allevatori accompagnate dal capo progetto Giovanni Rigoni Stern, 28 manze gravide di razza Rendena per la Bosnia Erzegovina. Queste, precisa il responsabile commerciale della Federazione, Mario Tonina, vanno ad aggiungersi agli altri 78 capi spediti in due precedenti occasioni: dicembre 2010 e dicembre 2011, quando sono state spedite manze, vacche già in lattazione all’ultimo periodo di gravidanza e vitelle. Dopo una quarantena di una ventina di giorni in una stalla poco oltre il confine, subito dopo Natale i capi saranno consegnati in parte, otto per la precisione, a donne rimaste vedove dalla guerra per la sopravvivenza, mentre le altre andranno a dei giovani che hanno dimostrato con le consegne precedenti di saper avviare un’azienda zootecnica, ed hanno ormai una certa struttura aziendale.

Questa iniziativa si inserisce in un progetto per rilanciare l’allevamento, all’interno del progetto triennale sostenuto in toto dall’Assessorato alla Solidarietà Internazionale della Provincia. I precedenti capi, precisa Giovanni Rigoni Stern, si sono acclimatati molto bene in quanto si tratta di zone montane, molto simili alle nostre che vanno dai 400 ai 1000 metri. Ma non solo, questi allevatori non hanno i soldi per comprare il mangime e pertanto le bestie allevate non possono essere di razze troppo esigenti come può essere per la pezzata Nera. Infatti, il progetto sostenuto dalla Germania, che ha portato nell’area un forte nucleo di pezzate nere non ha sortito nessun successo e non si vede più nessuna di queste mucche perché non si sono abituate all’ambiente e all’alimentazione troppo povera. «Ma non ci siamo limitati a spedire le manza - precisa Tonina - grazie al capo progetto Rigoni ed al tecnico esperto a livello nazionale della razza Rendena, Dario Tonetta, gli allevatori sono stati seguiti passo – passo con visite periodiche e i risultati si cominciano a vedere. Sono oltre 40 le manze che hanno partorito, le vitelle vengono allevate con cura mentre i maschi vengono ingrassati. Il nostro progetto, ricorda Rigoni, a differenza di quello tedesco sta proseguendo bene perché le nostre vacche di razza Rendena si sono adattati alle asperità della zona, che sta lentamente sviluppandosi ed ha un grande valore per ridare speranza di risollevarsi ad una popolazione martoriata dalla guerra etnica. Noi, precisa Tonina, abbiamo stipulato con i singoli allevatori beneficiari dei contratti di comodato che prevedono per loro l’obbligo di conservare i capi in stalla per almeno cinque anni, ma non solo, stiamo anche fornendo il seme selezionato per la fecondazione artificiale delle vacche».

E il latte come viene utilizzato? Rigoni precisa come quello munto dalle vacche dove c’è la presenza di un solo capo in azienda viene utilizzato e lavorato direttamente dalla famiglia che produce un formaggio tipico della zona, mentre quelle stalle un po’ più grosse cominciano a guardarsi intorno sul che fare. «Per ora hanno attivato una vasca refrigerata ma in prospettiva puntano alla realizzazione di un caseificio in zona per valorizzare il latte prodotto. Il caseificio che manda ogni due giorni a prendere il latte in esubero si trova ad oltre 100 chilometri di distanza. Ma il problema - conclude Rigoni - è quello di trovare le due persone alle quali affidare l’attività di casaro e quella di direttore della cooperativa».













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