Giovani protagonisti

Elena, il sogno sostenibile della «scienziata delle mosche»

Marcolla, trentenne di Zambana, ha creato una azienda per allevare le “mosche soldato nere”. L’obiettivo? «Convertire gli scarti dei vari prodotti agricoli in un integratore di proteine»


Carlo Bridi


ZAMBANA. La storia che ci accingiamo a raccontare oggi è quella di Elena Marcolla, una ragazza con un’alta formazione, laurea in scienze agrarie all’Università di Padova ed un master in direzione strategica dell’impresa alla Cattolica di Milano.

Grazie ai suoi studi e alle sue prime attività lavorative svolte, prima in ambito frutticolo e poi a Bressanone all’interno di un’azienda florovivaistica dove nell’arco di un anno aveva già dimostrato le sue doti scalando diverse posizioni e diventando responsabile del vivaio, Elena ha poi preso la decisione di mettersi in proprio.

Ha voluto lanciare a se stessa la scommessa di creare dal nulla una propria azienda, ma attenzione non un’azienda comune ma un’azienda in un segmento di frontiera com’è quello dell’allevamento di insetti. In particolare, di un tipo di mosca ad alta riproduzione in  modo che potesse produrre molte larve. Il tutto per spingersi molto avanti in un modello di economia circolare che lei ritiene - giustamente - indispensabile per dare il proprio contributo ad un modello di agricoltura sostenibile.

Elena Marcolla ha 30 anni ed è di Zambana. «Il mio obiettivo», dice, «era quello di fare un’azienda innovativa puntando al recupero ed all’utilizzazione degli scarti dei vari settori agricoli, dagli scarti delle mele dopo fatto il sidro e la purea, a quelli dell’uva dopo la torchiatura, a quelli del settore lattiero caseario».

«La mia filosofia», prosegue, «è quella di realizzare l’economia circolare utilizzando questi scarti come substrato per l’allevamento di un insetto specifico, la “mosca soldato nera”. Questo perché le larve nate dalle uova di questa mosca sono in grado di convertire rapidamente gli scarti agricoli in un prodotto ad alto valore emendante, riducendone del 60% il volume».

Questo processo assicurato dalle larve è fondamentale anche per un’altra cosa: le larve crescono molto velocemente in mezzo a questo substrato. Quando, hanno raggiunto il massimo di sviluppo - e qui viene il bello - vengono separate dal sub strato con un setacciatore che nella fase sperimentale è manuale, e portate ad un processo di essiccazione quindi vengono trasformate in una specie di farina.

Il prodotto ottenuto viene usato come ottimo integratore di proteine nella dieta dei maiali, dei pesci e dei polli. Ma anche degli animali domestici oltre che come integratore dei mangimi, non però per mangimi destinati ai bovini in quanto manca ancora l’autorizzazione.

Le mosche vengono allevate in una vertical farm al fine di ridurre lo spazio utilizzato. Sembra quasi di ritornare ai tempi dei bachi da seta, anche questi venivano allevati in vertical farm per allevare una maggiore quantità in quei cameroni sterilizzati e portati a temperatura ambiente per lo sviluppo dei bachi.

Per ora si tratta di un progetto sperimentale che vede la collaborazione della Fondazione Mach ed un finanziamento dell’Unione europea. Il ragionamento che fa la studiosa è molto semplice: produrre un chilogrammo di proteine con gli insetti è molto meno impattante per l’ambiente che produrlo con un allevamento bovino. Basti pensare che per produrre un hamburger sono necessari 4000 litri d’acqua per non parlare dell’energia oggi molto costosa, del suolo, e così via.

Fra i progetti futuri ad autunno spera di «avere a breve la licenza per la costruzione di un capannone, in modo da poter ampliare l’allevamento quando, una volta superata la fase sperimentale iniziata lo scorso anno, svilupperò la produzione».

«Certo, ci sono ancora tanti sogni che mi frullano per la testa, il più importante è quello di rendere quello che era un sogno in un progetto operativo che oltre alla sostenibilità ambientale abbia anche la sostenibilità economica con un progetto ben radicato sul territorio. Ma non voglio tenere per me l’idea», precisa Elena, «sarò ben lieta di condividerlo con altri perché io sono convinta che è una della strade del futuro. Ora però devo verificare se la sostenibilità economica è assicurata, in quanto senza questa il progetto non regge».

«Nei miei progetti c’è quello di fare due linee di produzione una integrata ed una biologica ovviamente con scarti agricoli di aziende biologiche. Anche in questo modo diamo una mano all’ambiente», prosegue Elena. «Di certo abbiamo riscontrato interesse sia nelle aziende mangimistiche che nei privati, che sembrano molto interessati a questo prodotto».  

Elena è una persona piena di interessi anche sul piano degli hobby: è amante della montagna sia d’estate che d’inverno, suona il clarinetto nella banda del paese, e gioca (o meglio giocava) a calcio a cinque.

Alla domanda su come hanno valutato la sua scelta i compagni di corso dell’Università, lei risponde senza dubbi: «All’inizio sono rimasti spiazzati e perplessi, poi quando hanno capito appieno il progetto lo apprezzano visto che il mio obiettivo è quello di contribuire ad aumentare il valore energetico dei prodotti proteici».

E gli affari di cuore? «Ho un fidanzato, ma non voglio mischiare le cose familiari con quelle professionali», conclude Elena.













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