La storia

La forza di Alidad Shiri: da rifugiato alla laurea a Trento

A 10 anni ha lasciato da solo l'Afghanistan, a 14 è arrivato in Alto Adige nascondendosi sotto un camion. Ha studiato a Trento e ora è dottore in filosofia con una tesi sul suo Paese


Paolo Tagliente


TRENTO. Ormai in molti, a Trento dove ha studiato e a Bolzano dove vive, conoscono Alidad Shiri, 29 anni, afghano, scrittore e giornalista che da tempo collabora anche con il giornale Alto Adige. Bene, da martedì, Alidad è il dottor Shiri. Dottore in filosofia, per la precisione, con una tesi intitolata “L’Afghanistan e la tragedia della politica”. Una laurea, la corona d’alloro, la festa e le congratulazioni degli amici: il traguardo della vita per qualsiasi ragazzo.

Ma per Alidad, quel traguardo ha un sapore diverso. È molto molto di più. Per una lunga serie di motivi. Innanzitutto, perché quel ragazzo dai capelli neri corvini e dal sorriso solare è probabilmente il primo rifugiato ad aver coperto, con tenacia e caparbietà, tutte le tappe del percorso accademico e a laurearsi, discutendo la sua tesi in perfetto italiano, di fronte alla commissione della Facoltà di filosofia dell’università di Trento.

Ha un sapore diverso perché Alidad, nato a Ghazni, ha perso il papà, la mamma, la nonna e la sorellina a causa della guerra e, quando aveva 10 anni, è fuggito dal suo Paese. Da solo.

Ha un sapore diverso perché, prima di arrivare in Alto Adige, nel 2005, legato sotto un camion, senza mangiare per giorni, il bambino Alidad ha lasciato il Pakistan, dov’era stato ospitato dallo zio, e ha attraversato l’Iran, la Turchia e la Grecia, sopravvivendo alla fame, alla sete, a pericoli d’ogni genere, a violenze e abusi.

Ha un sapore diverso perché le 95 pagine della sua tesi, che diventerà presto un libro, sono una lunga dichiarazione d’amore per il suo Afghanistan, di cui ha raccontato ogni aspetto, lanciando anche una forte critica alla politica. Dalla storia, fatta di infinite dominazioni straniere, alla guerra che va avanti ininterrotta da oltre 40 anni, delle tante etnie che popolano il Paese e delle due lingue parlate, dell’Islam e del rinnovamento dell’Islam stesso, che deve partire dall’Europa, del ruolo della religione nella società afghana, dei Talebani, della situazione dei bambini e dell’alfabetizzazione. E del ruolo della donna e del movimento femminile.

«Un tempo – spiega Alidad -, le donne potevano solo frequentare la scuola coranica e, comunque, il loro percorso scolastico era destinato a fermarsi attorno agli 11/12 anni. Oggi, in Afghanistan ci sono moltissime donne coraggiose che vengono spesso minacciate perché vogliono studiare. È una questione tribale che, nelle grandi città, sta perdendo forza mentre nei villaggi, l’idea che le ragazze non siano fatte per studiare è ancora radicata. Basti pensare che, secondo una ricerca fatta nel mio Paese, ascoltando uomini e donne di ogni età e di ogni livello d’istruzione, risulta che il 93 per cento degli intervistati è convinto che il capo famiglia debba essere uomo».

Impossibile che nella tesi sull’Afghanistan scritta da un afghano con il passato di Alidad mancasse il cuore. E lui il cuore ce l’ha messo, restando, però, nei binari imposti dall’università.

«Certo – spiega – ho raccontato anche una parte la mia esperienza personale e familiare, ma devo dire che non è stato facile e, all’inizio, il professore che mi ha seguito era giustamente scettico. Di solito, nella tesi, il laureando non può raccontare la propria storia e quella della propria famiglia. Quello l’avevo già fatto, in modo autobiografico, nel mio libro intitolato “Via dalla Pazza Guerra”, ma per la tesi è stato diverso. Questa volta volevo scrivere qualcosa in modo scientifico, per fare una ricerca, che fino ad ora non è mai stata fatta in Italia, e dare li mio contributo al mondo accademico.

L’ultimo capitolo - conclude - è fondamentale perché ho visto la politica ormai morta, ma manca anche un pensiero filosofico perché il campo che spetterebbe alla filosofia è occupato totalmente da una teologia speculativa. Gli intellettuali non mancano e potrebbero avere un ruolo importante, ma hanno paura della religione». E che si tratti di una laurea dal sapore diverso, lo si capisce anche dalle ultime parole della tesi, scritte da Alidad dopo aver ringraziato tutte le persone che, a vario titolo, lo hanno aiutato e sostenuto. «Mi avete fatto rinascere e superare addirittura il mio sogno». Congratulazioni, dottor Alidad Shiri.













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