DAL TRENTINO FIN NELLO YUKON / 1

La fine dell'inverno a Keno City: raccontare un Canada remoto

Per tre mesi i documentaristi Paola Rosà e Antonio Senter vivono l'isolamento e l'asprezza di un paese di montagna nello Yukon orientale, per un documentario in collaborazione con Montura Editing. Da metà febbraio a metà maggio, un progetto di immersione nella quotidianità della frontiera, tra cacciatori di pellicce, minatori e nuovi coloni


Paola Rosà


Non l'avevano presa bene a sentirsi dare degli “strambi”: quando agli inizi di ottobre il New York Times aveva pubblicato l'ampio reportage su Keno City citando la “stramberia” degli abitanti, Mike e Leo e un po' anche Jim l'avevano presa sul personale. “Non pensavo fossimo un posto strambo – ci aveva detto Mike Mancini, canadese di origini italiane, gestore di una pizzeria a mille metri di quota in un paese di una ventina di residenti – pensavo fossimo particolari, certo, ma strambi...”.

Ai giornalisti della metropoli, saliti a Keno City in cerca dell'ultimo angolo di West selvaggio nel Grande Nord canadese, a 400 km ad est di quella Dawson City capitale della corsa all'oro ormai diventata quella che Jim definisce “una cartolina per i turisti dell'avventura”, Mike non aveva dato troppa importanza. “Non pensavo avremmo meritato così tanto spazio”.

Ad essere trascurati, qui, sembrano ormai abituati. I numeri parlano. Con meno di una ventina di residenti ufficiali, e otto persone a mantenere il presidio anche d'inverno, Keno City negli ultimi trent'anni è stata il gioiellino, un po' retrò un po' decadente, da conservare quasi per nostalgia. Nostalgia della miniera di argento che dopo decenni ha chiuso nel 1990. “Io sono cresciuto qui – ci aveva raccontato Mike a ottobre, durante quel sopralluogo casuale che ci ha poi convinti a tornare d'inverno – c'erano scuole, c'era la squadra di hockey e diversi ristoranti, c'erano i minatori e gli impiegati, centinaia di famiglie che poi alla chiusura della miniera sono andate altrove”. Spesso portandosi via anche la casa. Letteralmente. Su un carrello attaccato ad un camion.

Il posto abitato più vicino adesso è a una sessantina di chilometri nel fondovalle, Mayo sullo Stewart River. Lì ci sono scuole, palestre, ristoranti, un motel, un distributore di benzina, un negozio, e la polizia. Cinquecento abitanti. Il terzo centro dello Yukon, dopo la capitale Whitehorse 450 km a sud e Dawson City a ovest.

Quassù, a Keno City, sembravano rimasti solo i ricordi. Ricordi cui Mike, insieme ad altri, ha dedicato cura e passione mettendo in piedi un museo e organizzando diversi raduni degli “ex” di Keno. Ricordi che centinaia di visitatori d'estate vengono a esplorare, deviando di un centinaio di chilometri dalla Klondike Highway.

Ma c'è dell'altro. Ci sono nuove esplorazioni nell'entroterra, in territori vergini dove il governo ha concesso il permesso di aprire nuove strade. Ci sono nuovi fondi promessi dal primo ministro Trudeau per le infrastrutture a servizio delle miniere. Ci sono investimenti e contestazioni, progetti e nuovi colonialismi. Alla fine della strada, dove c'è internet ma non c'è l'acqua corrente, dove i solitari che si sono ritirati qui sanno accoglierti come non accade altrove, a Keno City accade ancora qualcosa.

E noi siamo qui per cercare di raccontarlo.

Per altre microstorie e fotoracconti: https://rosasenter.weebly.com/keno-in-italiano.html e la pagina facebook Un inverno a Keno City: https://www.facebook.com/invernoakenocity/?view_public_for=866738103504053













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