Il processo

Il padre dell’imputato aiuta la figlia della vittima 

Il caso è stato archiviato per prescrizione: il figlio medico era finito sotto processo per la morte per overdose della sua compagna. Il padre ha versato una somma alla figlia della donna


Mario Bertoldi


BOLZANO. Il giudice Walter Pelino aveva qualificato il reato in omicidio volontario (per dolo eventuale) rimandando gli atti in Procura per il possibile cambio di imputazione. In realtà l’ufficio della pubblica accusa non è stata dello stesso avviso ed ha avviato il procedimento per omicidio colposo, con la conseguenza che i fatti contestati - ormai datati - sono stati dichiarati prescritti. A livello giudiziario, dunque, è stata posta la parola fine all’indagine riguardante il decesso di una giovane donna tossicodipendente.

Al centro del caso finì un medico bolzanino (che ora non esercita più professionalmente) accusato di non essere intervenuto in maniera adeguata per tentare di salvare la vita alla sua compagna entrata in coma per overdose la mattina del 25 gennaio 2014. Quel giorno la donna venne trovata ormai in gravi condizioni nella cantina del palazzo in via Mozart ove la vittima viveva con il professionista. Secondo il giudice che contestò l’omicidio volontario entrambi avrebbero fatto uso di sostanze stupefacenti pesanti, in particolare cocaina.

La donna in alcune occasioni sarebbe giunta a iniettarsi direttamente in vena anche due grammi di cocaina al giorno. A conclusione delle indagini il giudice si convinse che la donna si sarebbe sentita male nell’appartamento dove abitava con il medico il quale, quando si rese conto di quanto stesse accadendo, avrebbe deciso di non lanciare subito l’allarme per ottenere rapidi soccorsi ma avrebbe optato per trasportare la donna ormai in coma in cantina, cercando di far credere che la stessa si fosse iniettata la droga fuori casa. In sostanza il medico venne accusato di aver pensato soprattutto a salvare la sua reputazione professionale anteponendo i propri interessi alla possibilità di salvare la compagna, decidendo di rischiare che tutto finisse in tragedia (come effettivamente accadde).

La ricostruzione del giudice Walter Pelino non è stata però seguita dalla Procura della Repubblica che invece ha ipotizzato l’omicidio colposo. Visto che i fatti risalgono a 8 anni fa, il procedimento è stato dunque dichiarato prescritto ed archiviato.

Il padre dell’imputato ha però sentito il bisogno morale di intervenire per dare un aiuto concreto alla figlia della vittima che venne colpita dalla tragedia quando era una ragazzina e che solo da pochi mesi ha raggiunto la maggiore età. Cercando di andare incontro il più possibile alle richieste risarcitorie avanzate dalla parte civile (patrocinata in giudizio dall’avvocato Andrea Gnecchi) il genitore dell’imputato ha messo a disposizione della giovane una discreta somma riconoscendo l’enorme dramma in qualche maniera provocato (anche in assenza di dolo) dal professionista finito sotto accusa.

Tra il resto l’indagine aveva permesso di appurare che proprio nei minuti del dramma l’imputato invece di allertare subito il 118 per far intervenire tempestivamente un’ambulanza decise di inviare nella farmacia più vicina un amico tossicomane (che aveva trascorso la notte nell’abitazione di via Mozart) per acquistare due confezioni di «EN in gocce» , un potente farmaco ansiolitico. In seguito in cantina, vicino al corpo della donna, venne trovata una siringa monodose intrisa di sangue e un bauletto di plastica verde.

Il giudice Pelino ritenne fosse del tutto inverosimile che la donna avesse scelto di andare in cantina (tra il resto molto stretta) per drogarsi da sola dopo che era solita farsi iniettare le dosi in vena da terzi (in quanto aveva paura degli aghi). E la figlia minorenne della vittima raccontò che l’imputato, dopo aver indossato un paio di guanti tentò di distruggere il telefono cellulare della convivente gettandolo a terra e mettendolo in acqua. Inoltre il 118 sarebbe stato allertato solo un’ora dopo il malore della donna che riportò lesioni cerebrali irreversibili.

Ora però la vicenda, sotto il profilo giudiziario, è chiusa per sempre.













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