«La sentenza Tar mette ko decine di cacciatori» 

Storo, Gialuca Faes della sezione locale attacca il presidente Ravelli e la Provincia «Qui la caccia è in forma vagante e appostamento, sceglierne una è un danno»


di Stefano Marini


STORO. La stagione della caccia è cominciata da meno di una settimana, ma in Valle del Chiese le associazioni venatorie ancora risentono dagli effetti della sentenza del Tar del Lazio che ha imposto loro di scegliere fra la caccia "in forma vagante" o con "appostamento fisso", lasciando a molti l'amaro in bocca. A farsi interprete del sentimento generale è Gianluca Faes, membro del direttivo della sezione comunale cacciatori di Storo e a livello provinciale consigliere dei capannisti trentini. Faes ne ha un po' per tutti, compreso il nuovo capo dell'associazione cacciatori trentini, Stefano Ravelli, ritenuto troppo morbido nei confronti della sentenza e delle possibili conseguenze che essa comporta per gli iscritti alla sua associazione.

«La sentenza del Tar - dice Faes - è caduta come un macigno sui tanti cacciatori di Storo ma anche della Val di Ledro e di Bondone. Nelle nostre zone da sempre la caccia si pratica sia "in forma vagante" che con "appostamento fisso". Magari uno parte facendo battute al capriolo o al cinghiale per poi dedicare i mesi dell'inverno alla cura del capanno, o viceversa. Va da sé che la decisione dei giudici romani, presa su pressione degli ambientalisti, abbia sconvolto tradizioni consolidate nel tempo, facendo perdere a molti la voglia di dedicarsi alla loro passione. In Provincia di Trento da un paio d'anni c'è autonomia anche sulla gestione della caccia, la Giunta provinciale ha fatto ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar e stiamo tutti incrociando le dita. Dalle nostre parti la questione è davvero molto sentita e non ci ha fatto certo piacere che il presidente della nostra associazione provinciale Stefano Ravelli abbia minimizzato dicendo che se anche la sentenza del Tar dovesse rimanere immutata ciò non cagionerebbe un grave danno ai cacciatori trentini. Al contrario, sarebbe un disastro. Ravelli viene dalla Val di Non e forse le loro tradizioni di caccia sono diverse da quelle della Val del Chiese o della Val di Ledro. Da noi da sempre i cacciatori praticano entrambe le forme venatorie e doverne scegliere una sola è un danno grave. Mi permetto di ricordare al presidente Ravelli che ora rappresenta tutti i cacciatori trentini per cui dovrebbe tener conto del modo di sentire di tutti i suoi iscritti, non solo della parte più vicina a lui».

Faes ne ha anche per il Servizio Foreste della Provincia: «Gli uffici provinciali ci stanno aiutando col ricorso al Consiglio di Stato e glie ne siamo grati. Però devo dire che ci sono troppe regole, troppo complicate. Quando come capannisti chiediamo lumi in Provincia su questo o quell'aspetto legale ci vogliono anni per avere risposte e nel frattempo finiamo spesso multati dai forestali. Aggiungo un aneddoto. Sabato 31 agosto ho consegnato a mio padre la licenza di caccia. È sempre stata una bella emozione. Quest'anno però avevo il cuore pieno di amarezza a dover consegnare un documento con sempre più pagine, riempite di regole penalizzanti per i cacciatori, anche per questo speriamo davvero che il Consiglio di Stato rimetta le cose a posto ristabilendo le nostre tradizioni».

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