Ludopatia, entra in gioco Acat 

I Club alcologici si aprono alle nuove dipendenze: «Il problema del gioco più difficile da accettare»


di Katia Dell’Eva


ALTO GARDA. Di ludopatia si è parlato diffusamente, negli ultimi mesi, ma mentre i dati raccontano di 47 milioni di euro spesi all’anno nel solo Alto Garda, tra slot machine, gratta e vinci e scommesse, le strategie per affrontare il problema della dipendenza da gioco d’azzardo sono ancora in via di sperimentazione. Oltre ai piani di prevenzione comunali e della Comunità di Valle, forte e attivo è anche il sostegno di Acat - Club Alcologici Territoriali - che, consapevole di queste nuove fragilità della comunità, è pronto anche a cambiare nome in Cef - Club Ecologia Familiare -. Delle nuove dipendenze e dei progetti ad esse correlati, ce ne parlano quindi Arturo Santorum, presidente dell’associazione, e Angelo Santoni, vicepresidente.

Da dove viene una così ampia diffusione della ludopatia? «La base di tutto sta nella sempre più fragile rete di relazioni. Ogni dipendenza non è che un farmaco per un malessere più profondo. L’assenza di rapporti interpersonali però porta poi anche a non riuscire a trovare sostegno nel momento in cui la dipendenza si sviluppa. Noi di Acat preferiamo parlare di “stile di vita” piuttosto che di malattia: secondo il metodo Hudolin, da noi portato avanti, infatti, ciò a cui si deve fare riferimento è la persona. Il compito dei 9 club attivi sul territorio (7 tra Arco e Riva, 2 in Val di Ledro) è quindi di accogliere le persone. Ciò nonostante, l’accettazione di un problema con l’alcol è ad oggi più semplice rispetto a quello con il gioco d’azzardo: chi spende i suoi soldi in quel modo non è consapevole, o se lo è, si sente stupido nel dichiarare la sua fragilità. Forse è ancora un tabù. Forse l’inganno sta nella “tolleranza del poco”: si dice “gioca responsabilmente e tutto va bene”, ma è come dire a qualcuno “sparati, ma poco”».

In che modo Acat è attiva? «Oltre alle riunioni, ormai non più riservate a problemi alcolcorrelati ma ad ogni dipendenza, abbiamo ideato alcune serate a tema. La prossima, in cui vorremmo intervenissero persone con la loro esperienza personale, sarà in aprile. Nel frattempo abbiamo attivato anche un corso gratuito, della durata di una settimana, che prende il nome di “scuola di ecologia familiare”. Il primo, per noi dell’Alto Garda, sarà dal 5 al 13 marzo, presso il Cantiere 26. Per iscriversi si può chiamare il Centro Alcologia: 0464 582670, o Acat: 349 8360483 o 392 7626767. Per l’occasione parleranno membri degli stessi club e psicologi, ma quello che vorremmo realmente veder nascere è un dialogo attivo tra le parti, anche grazie alla partecipazione della comunità, dai familiari, a chi soffre di dipendenze, a chi ancora se ne occupa in ambito di studi o professionale. In aggiunta, proprio per via di quella “timidezza” del ludopatico di cui si parlava, abbiamo pensato di dar vita a una stanza del dialogo presso la nostra sede a Villa Tappainer, nonché ad un numero verde. Ma è tutto ancora in corso».

Ad un livello più generale, quale sarebbe secondo voi la soluzione al problema? «In primis, la regolamentazione. Aver legalizzato il gioco d’azzardo ha gettato nel caos la società. Si dovrebbe tornare ai luoghi controllati come i casinò e a divieti - soprattutto per i più giovani, che grazie ad internet sono i più a rischio -, ma che siano divieti reali, severi e applicati. A ciò aggiungiamo un’informazione puntuale e una drastica riduzione della pubblicità e all’assurdità del “fallo, purché responsabilmente”».













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