Alcol e salute: «Sono 100mila i trentini ad alto rischio»

L’ammonimento del dottor Luigino Pellegrini, del Servizio alcologia: non esiste una quantità innocua


Luca Marsilli


ROVERETO. In Trentino beve alcol quasi il 70 per cento della popolazione. E il 30 per cento di questi "non astemi" ha consumi che l'Oms considera «a rischio elevato». Vuol dire qualcosa come 100 mila trentini, abbondanti, che bevono abbastanza per rischiare molto.

Sapendo - e forse è il punto più delicato - che consumando alcol un rischio zero non esiste, per moderate che siano le quantità. «È il vero problema culturale - spiega Luigino Pellegrini, medico del servizio alcologia e da 33 anni impegnato in questo campo - che dobbiamo affrontare: accettare, come ha fatto ormai Oms, che ha senso, parlando di salute, distinguere tra uso e abuso di alcol. Qualsiasi quantità di alcol etilico è dannosa, come lo è qualsiasi quantità di eroina o di altre droghe. Solo che mentre troveremmo assurdo giustificare chi si inietta eroina "ma solo in modesta quantità", questa distinzione la ammettiamo per l'alcol. Diciamocelo chiaro: oggi è dimostrato che non ha alcun senso. Tanto che l'Oms accetta oggi solo una distinzione tra uso a basso rischio, a rischio medio e alto. E malgrado la situazione sia migliorata negli ultimi 30 anni, in Trentino siamo messi male: 100 mila persone fanno un consumo di alcol a rischio alto. Siamo a livelli da pandemia, anche dal punto di vista dei danni sociali e dell'impatto economico su sanità e vita della comunità».

Oltre quale limite il consumo si deve ritenere a rischio?

«L'Oms ragiona a dosi di alcol etilico: una dose corrisponde a 12 grammi di alcol. Che sono più o meno quelli contenuti in un bicchiere di vino, un bicchierino di grappa o una birra media. Il rischio alto per l'uomo inizia col superamento delle 2 o 3 dosi giornaliere; per la donna, che per questioni fisiche ha una tolleranza all'alcol che è la metà di quella dell'uomo, 1 o 2 dosi. Ma si ritiene a rischio alto comunque chi beve anche una sola dose ma fuori dai pasti e chi, soprattutto i giovani, magari non consuma alcol per 5 o 6 giorni ma poi consuma 5 o più dosi in una sola occazione. Va da sé che più si beve, più il rischio aumenta. Ma basta eccedere questi parametri per essere a rischio elevato per la salute».

Siamo cresciuti con la convinzione che un bicchiere di vino faccia bene.

Che si tratti di un alimento di cui non abusare, come molti altri, ma che può entrare nella dieta.«Sono errori figli di una cultura che la scienza ha purtroppo dimostrato non avere alcun fondamento. L'alcol etilico, è ormai certificato dall'Oms, è tossico per il cervello e altri organi, va considerato per gli effetti che ha una droga pesante e è un cancerogeno di livello A: il più alto in assoluto. Con queste caratteristiche come si fa a parlare di un alimento? È una sostanza voluttuaria, il cui consumo fa parte della nostra tradizione, ma nociva. E che ancora oggi si discuta se sia opportuno o meno mettere in guardia i consumatori sui rischi dimostra solo quanto potente sia la lobby dell'alcol in Europa».

Cioè, secondo lei non è strano voler scrivere che l'alcol fa male sulle etichette ma è strano che non ci sia già scritto?

«Certo. Già 30 anni fa in Ecuador sulla birra c'era scritto "L'alcol può danneggiare la tua salute e la tua famiglia". Con questo informando, sia pure con toni e in modi non terroristici, sui rischi fisici e sociali legati al consumo di alcol. Là evidentemente la lobby dell'alcol era meno forte. O forse si erano trovati già allora nelle condizioni in cui si trova ora l'Irlanda, con costi sociali e economici legati all'alcol di portata tale da rendere anche economicamente conveniente combatterne il consumo».

Cioè, lei dice che il guadagno legato all'alcol è inferiore ai suoi costi?

«Ci sono studi ormai accettati che lo stimano in un rapporto di uno a due: ogni euro di pil generato da produzione e commercializzazione di alcol, ci sarebbero costi sociali per due euro. Sono approssimazioni, ma l'ordine di grandezza credo sia quello e che sia significativo. Ma non vorrei nemmeno che si ragionasse in termini economici su questo: non è eticamente accettabile farlo. Vale per qualsiasi prodotto: un cittadino consumatore ha il diritto di sapere che rischi corre consumandolo o utilizzandolo. Poi è libero di scegliere, ma consapevolmente. Non si tratta di essere proibizionisti, ma di garantire a tutti una corretta informazione. E se oggi stiamo ancora a discutere se l'alcol faccia male o meno, e quanto, e a che dosi, dimostra che di informazione corretta non ne è stata fatta per niente in almeno 30 anni».

E quindi la discussione di questi giorno le sembra futile?

«Al contrario, va benissimo che se ne parli, perché forse si diffonde un po' di conoscenza in più. Ma non parliamone, come vedo sui giornali, con argomenti e toni che erano vecchi già negli anni Novanta. Non è l'alcolismo il rischio più grave e diffuso legato al consumo di alcol. Non è che ha problemi di alcol chi ha la cirrosi: quello i problemi di alcol li aveva 20 anni fa. Oggi ha la cirrosi. In Trentino il consumo di alcol è uno dei principali problemi per la salute pubblica. In 30 anni siamo passati da un consumo medio di 13 litri all'anno a 8/9 e il calo delle patologie correlate si è visto nettamente. Ma siamo ancora molto lontani dai 6 litri che l'Oms si dà ora come obiettivo minimo».













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