IL LIBRO

"Mura", la scrittrice rosa fermata dal duce 

Storie dimenticate. Marcello Sorgi ricostruisce in un libro la figura di Maria Assunta Volpi Nannipieri in arte "Mura", popolarissima autrice e giornalista del ventennio fascista Era allineata al regime, ma la copertina del romanzo “Sambadù, amore negro” fece infuriare Mussolini che inasprì la stretta sull’editoria


Luca Fregona


Bolzano. In anticipo sulla condizione femminile e l’emancipazione, ma anche smaliziata, astuta e appiattita sul regime. Il paradosso è che il suo libro “Sambadù, amore negro”, un romanzo rosa impregnato di razzismo (Sorgi ha contato almeno 79 affermazioni marcatamente razziste in cento pagine), viene censurato dal duce nell’aprile del 1934 che lo considera invece un oltraggio alla “purezza del popolo italiano”. E fornisce così il pretesto per un nuovo, severissimo, giro di vite sull’editoria. Giornalista e scrittrice, Maria Assunta Volpi Nannipieri in arte “Mura” è stata una delle firme più lette, specialmente dalle donne, dell’Italia fascista fino alla morte nel 1940 in un tragico incidente aereo. A tirarla fuori dalla spessa coltre di polvere e oblio in cui riposava ormai dimenticata, è Marcello Sorgi, noto giornalista e scrittore, già direttore de “La Stampa” e del Tg1, nel suo libro “Mura. La scrittrice che sfidò Mussolini” (Marsilio).

Sorgi, dove è andato a pescare questa storia?

«Me ne parlò Giuseppe La Greca, un bravissimo storico di Lipari. Aveva pubblicato un saggio sugli incidenti aerei durante il ventennio. Nel marzo del ’40 un aereo passeggeri Savoia Marchetti della compagnia Avio Linee Italiane si schiantò sullo Stromboli. Morirono quattordici persone. Tra loro c’era anche Maria Assunta Giulia Volpi Nannipieri, all’epoca conosciutissima giornalista e scrittrice di romanzi rosa molto audaci con lo pseudonimo di Mura. Liala, anche se si detestavano, imparò molto da lei».

Di Liala sappiamo tutto, di Nannipieri/Mura nulla...

Eppure Mura era molto importante, e non solo come scrittrice “rosa”. Raccontava il desiderio femminile in modo quasi sfacciato e non conformista. Un celebre critico scrisse che non si fermava sulla soglia della camera da letto, ma la oltrepassava. Questo elemento di erotismo contribuì molto al suo successo commerciale, la distingueva dalle altre autrici del genere».

Tipo Liala...

«Amalia Liana Odescalchi era più inquadrata, perbenista, seguiva uno schema classico, con principi azzurri, spesso eroi dell’aviazione, mille ostacoli e tormenti fino al lieto finale. Era una marchesa snob: lo pseudonimo “Liala” glielo aveva cucito addosso D’Annunzio. Nannipieri, invece, era di estrazione piccolo borghese».

E lo pseudonimo Mura se lo scelse lei...

Lo stesso della “terribile” contessa russa Maria Nicolajeva Tarnowska, che aveva ammazzato il marito e “provocato” suicidi tra gli amanti...

Come dire: non mettetemi nella categoria “brave ragazze”...

«Mura era una giovane intraprendente, affamata di vita e riscatto sociale. Veniva da una famiglia modesta. Il padre era un venditore ambulante di alimentari. Era nata nel 1892 a Bologna. Quando i suoi si trasferirono a Gavirate sul lago di Varese, fu presa sotto l’ala di Annie Vivanti, poetessa e amante di Carducci, che ne intuì il talento».

Fece una carriera rapidissima...

«Mura capì subito che la scrittura poteva essere una strada per l’emancipazione. Si trasferì a Milano dove iniziò a collaborare con la rivista del Touring club, con II Secolo e i periodici femminili come Novella e Lidel, che vendevano 150 mila copie».

La società italiana stava cambiando sotto il martello della prima guerra mondiale...

«Sì, molte donne iniziarono a lavorare per sostituire gli uomini al fronte. Nelle città nacque così un pubblico nuovo. Lettrici che si affacciavano alla stampa e al romanzo leggero, anche con sfumature pruriginose...»

Mura non si tira indietro...

«Sa utilizzare benissimo i due registri: quello giornalistico e quello della narrativa. È lei a scrivere la prima inchiesta in Italia sulla donne lavoratrici, pubblicata su Stampa sera, ma anche libri arditi. Racconta di amori saffici e folli, dove la protagonista non ha paura di quello che prova e il matrimonio non è sempre il finale obbligato che rende felici».

In questo era estremamente moderna e per niente moralista...

«Sì, strizzava l’occhio a un vasto pubblico di donne che, oltre all’emancipazione nel lavoro, chiedevano più libertà anche nel diritto al piacere sessuale. In uno dei suoi primi romanzi, “Piccola”, affronta addirittura il tema della pedofilia. Racconta di una bambina di nove anni “sedotta” da un uomo di cinquantaquattro. Una storia scritta con tali dettagli e un carico di sofferenza che fanno pensare che quella bimba fosse proprio lei. In Perfidie del 1919 parla senza inibizioni dell’amore verso un’altra donna».

Quando sale al potere il fascismo, come si comporta?

«È allineata. Il suo amante è Alessandro Chiavolini, segretario particolare di Mussolini, con cui scrive alcuni libri di successo per bambini. Quando si lascia con Chiavolini, allaccia una relazione con Alberto Matarelli, a capo della Sonzogno, il numero uno della editoria italiana. Non era una donna estranea al regime e al potere».

Molto concreta.

«Molto. Morto il padre, tocca a lei mantenere il fratello e la madre. La sola attività giornalistica non bastava a tenere in piedi la famiglia. Sforna libri a tutto spiano, e vende tantissimo. Si calcola in tutto, fino al 1940, quasi un milione di copie. Una cifra impressionate oggi, figuriamoci negli anni Trenta. Il suo era un vero e proprio prodotto industriale».

Che giornalista era?

«Diversa dalla Mura scrittrice. Aveva uno stile secco, immediato. Era molto capace e brillante, dedita totalmente al suo lavoro. Viveva in due modeste stanze d’albergo zeppe di ricordi di viaggio e regali delle lettrici».

Viaggiava anche tantissimo...

«Sì. A Parigi resta folgorata dalla nera Josephine Baker. A Hollywood conosce le attrici e gli attori più famosi. Per mesi gira l’Indocina. I suoi reportage sono intensi, ricchi di dettagli. Gode di una certa libertà».

Il suo tipo di donna era però molto lontano dall’ideale di “donna fattrice” del fascismo...

«Sì. Ma all’inizio Mussolini non si preoccupava dei giornali femminili, e men che meno dei romanzi rosa».

Fino a “Sambadù, amore negro”, anno 1934...

Esatto. Il libro, edito da Angelo Rizzoli (che aveva voluto Mura a tutti i costi proprio perché vendeva tanto), racconta una storia d’amore travolgente tra un ingegnere senegalese laureato a Firenze, Sambadù, completamente assimilato, che lavora per una grossa impresa italiana, e Silvia, una vedova dell’alta borghesia italiana, ricca e sofisticata. La copertina del famoso grafico triestino Marcello Dudovich è esplicita: la donna bianca che si abbandona “lasciva” nell’abbraccio di un prestante uomo nero...».

Un colpo nello stomaco del regime che si apprestava alla campagna d’Eritrea e stava covando le leggi razziali...

«In realtà no. Perché il libro è un concentrato di razzismo becero a partire dal titolo. Sambadù e Silvia si sposano, ma quell’amore “negro” - è la convinzione di Mura - è sbagliato. Quando Silvia si scopre incinta, Mura le fa dire: “Il sangue del mio bambino sarà inquinato dal sangue di un’altra razza, e porterà in sé i germi selvaggi d’una tribù negra”. Il bambino nasce miracolosamente di pelle bianca. Silvia non lo fa allattare dalla balia “negra” per paura che il latte lo possa far diventare scuro. Il matrimonio va a pezzi: Sambadù si rivela un selvaggio violento che gira nudo per casa, ascolta musiche tribali, e la tiene rinchiusa come una prigioniera».

E come finisce?

«Finisce che lui, sconfitto, se ne torna in Africa dove, una volta approdato, si spoglia dei vestiti “di buona fattura” cuciti su misura da una sartoria romana, infila un costume tradizionale di pelli e piume, sale su un elefante e si dirige verso il suo antico villaggio dove farà il capo “della tribù dei Niomi”. Insomma: un concentrato di sciocchezze e stereotipi da far rabbrividire. Mura è furba: in ogni pagina ci mette un termine, una sfumatura, una frase. Ha già intuito che il regime va verso le leggi razziali. Non le passa neanche per l’anticamera del cervello che il libro possa darle dei problemi».

Invece Mussolini, il 2 aprile 1934, dà l’ordine di sequestrarlo in tutto il Paese...

«Mussolini il libro non l’ha nemmeno letto. Mura è vittima inconsapevole di una guerra intestina al fascismo tra il genero del Duce, Galeazzo Ciano, capo dell’Ufficio stampa del governo, e il capo della polizia Arturo Bocchini. Ciano coglie l’occasione per mettere Bocchini in difficoltà. Fa trovare sulla scrivania di Mussolini il libro prima del consueto incontro del mattino tra il duce e Bocchini. Mussolini vede la copertina e dà di matto. Bocchini arriva e si prende una lavata di testa. Fino a quel momento la censura sui libri era più teorica che reale. L’editore era obbligato a consegnare due copie in prefettura. La prefettura le ammonticchiava in un magazzino dove restavano intonse. Mussolini non amava sequestrare i libri. Pensava che non li leggesse nessuno».

Ma Sambadù cambia tutto...

«Grazie a Sambadù, Ciano ottiene il via libera per una circolare che mette il cappio all’editoria. Ordina che due copie di ogni manoscritto, prima della pubblicazione, vengano consegnate all’Ufficio stampa del governo, cioè direttamente a lui e al duce».

Gli editori come reagiscono?

Si auto censurano per non incorrere in sequestri e danni economici. Quella di Sambadù è una vicenda emblematica di come funzionava il fascismo. Se si fossero letti il libro senza fermarsi alla copertina, lo avrebbero trovato un perfetto manifesto razzista in salsa rosa, cucito apposta per lettrici di Mura, che erano le italiane dell’epoca. Invece lo usano per inasprire la censura anche in vista delle imminenti leggi razziali».

Lei come reagisce?

«È sotto shock. Non se lo aspettava. La polizia politica la mette sotto controllo. Chiede invano un incontro con Mussolini, ma è Ciano in persona a dirle di volare basso e che tutto verrà dimenticato. Continua a viaggiare e a scrivere per i giornali femminili. Tiene la posta del cuore. Le sue risposte alla richiesta di consigli d’amore o di elisir per dimagrire spesso sono al vetriolo. Ma non è più la Mura di prima. È spaventata. Si autocensura in tutto. Perde in brillantezza e spregiudicatezza».

Ultimo capitolo: marzo 1940

«Va in Libia dal suo ex amante Chiavolini, che Mussolini ha giubilato nel 1935 regalandogli una tenuta agricola in Tripolitania. Lui la accoglie con freddezza. Il viaggio, per Mura, è una delusione. La mattina del 16 marzo prende un volo per Roma via Sicilia. Il tempo è pessimo. L’aereo fa una sosta a Catania. Il pilota decide di proseguire. Le isole Eolie sono coperte dalle nuvole. Il pilota chiede la posizione al centro controllo volo di Napoli. Gli danno le coordinate, ma la strumentazione di bordo va in tilt per la vicinanza “magnetica” al vulcano. Alle 10.55 si schiantano sullo Stromboli. Nessun sopravvissuto».

A bordo c’è Mura. Impossibile tenere segreta la sciagura...

«Mussolini, che non è stupido, sa che questa volta la censura sarebbe un boomerang. Anche se è un’ipotesi ridicola, vuole sia escluso ufficialmente l’attentato perché non venga tirata fuori la tesi del complotto contro una scrittrice scomoda. In realtà Mura non era una spina nel fianco del regime».

Mussolini comunque dà il via libera all’inchiesta...

«Sì. La conduce con molto rigore un procuratore di Messina. Si conclude con l’archiviazione, ma è impietosa nei confronti della qualità dell’Aviazione civile italiana. Gli incidenti continui (oltre un centinaio di morti in pochi anni), sono la prova dell’inefficienza di una manciata di società sostenute dal regime, ma arretrate tecnologicamente: le cabine non pressurizzate costringevano a volare a vista a basse quote. I piloti, poi, erano ex militari, arditi che non badavano alla sicurezza dei passeggeri»

Mura muore a soli 48 anni e di lei si perde ogni memoria...

«Non subito. Il giornale Stampa sera le dedica una pagina intera con il titolo: “Morta la donna che parlava al cuore delle donne”. Migliaia di lettrici la piangono. I funerali sono imponenti e solenni. Amedeo Nazzari presenzia accanto ad Angelo Rizzoli. Ma meno di tre mesi dopo l’Italia entra in guerra. Ciano finirà fucilato a Verona per aver votato l’ordine del giorno Grandi. Mussolini a testa in giù in piazzale Loreto. E Mura sotto la polvere di un paese ridotto in macerie».













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