L'ultimo Mankell: riscoprire affetti e passioni per attendere la fine senza paura



Scritto da Henning Mankell nell’ultimo anno di vita, Stivali di gomma svedesi è – inevitabilmente – un romanzo sulla morte. La paura, i dubbi, i rimorsi di fronte all’ultimo viaggio sono quelli di Frederik Welin. Che, dopo aver fatto parziale ammenda del suo egoismo in Scarpe italiane, in questo particolarissimo, unico, irripetibile sequel, all’indomani del rogo della casa di famiglia nell’arcipelago di Stoccolma, riscopre l’amore per la figlia Louise, il desiderio nei confronti della giovane Lisa, la voglia di non arrendersi alla senescenza, all’avvicinarsi della fine. O meglio, di farlo senza paura.

Più dell’abbozzo di trama gialla – chi ha dato alle fiamme la casa di Welin? – a conquistare il lettore sono le evidenti aderenze tra la vicenda del protagonista e quella dell’autore: struggenti messaggi («mi trovavo su un confine umano, facevo parte di quel gruppo che si stava allontanando dalla vita», «Non avevo paura della morte. Doveva essere una liberazione dalla paura, la liberazione estrema») dei quali Mankell ha disseminato la sua ultima opera. Ma è un Mankell che rimane tale fino in fondo, perché, assieme alle inquietudini dell’uomo messo di fronte all’ineluttabilità della fine, in Stivali di gomma svedesi ritroviamo i temi dei quali sono intrisi non solo i suoi romanzi più “politici”, ma anche quelli della serie di Wallander: le difficoltà della vita coniugale, il rapporto tra genitori e figli, i problemi della terza età, la sessualità e il mistero di una nuova vita.

È l’ultimo Mankell, non lo dimenticherete.

Stivali di gomma svedesi
Henning Mankell
Marsilio, 432 pagg., 19,50 euro













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