Il filo rosso del ricatto lavoro-salute



Lo splendido film di Renzo Martinelli sull'immane tragedia del Vajont, trasmesso qualche giorno fa da Rai Storia, mi ha fatto piangere per l'ennesima volta, anche perché riporta alla mente esperienze e personaggi della mia vita: mio padre che, nel 1963 giovane poliziotto, accorse a Longarone all'indomani della sciagura; e Toni Sirena, figlio di Tina Merlin, che nel film recita anche una piccola parte, con il quale ho lavorato al Trentino per qualche anno.

Una volta di più, riguardando La diga del disonore, ho capito come esista un filo rosso che unisce grandi e piccoli scempi ambientali (piccoli solo nelle proporzioni rispetto a quelli più "pesanti", perché una sola vita umana o animale, una sola pianta, hanno un valore che andrebbe salvaguardato, sempre e comunque), dal Vajont a Stava, dall'Ilva di Taranto all'Acciaieria di Borgo Valsugana, fino a quello, forse ancora scongiurabile, della centrale a biomassa di Novaledo. Il fil rouge del ricatto: il lavoro in cambio della salute. Intendiamoci, non si tratta di un ricatto operato con l'uso della violenza, perlomeno non abbiamo gli elementi per affermarlo. Ma, a modo suo, è un ricatto ancora più odioso di quelli perpetrati dai sequestratori dell'Anonima, perché è il ricatto del capitale nei confronti della forza lavoro, dei ricchi - quasi sempre stranieri, foresti - nei confronti dei poveri e degli autoctoni, gente che spesso detiene solo il diritto ad abitare i luoghi oggetto dello scempio. Un ricatto spesso messo in atto con la complicità - o perlomeno la disattenzione - di chi invece avrebbe il dovere di tutelare quei luoghi, la loro natura, le loro tradizioni, la loro cultura e la loro storia, vale a dire gli amministratori pubblici, questa classe politica ricattata nella migliore delle ipotesi, più spesso ricattabile.

Sulla centrale di biomassa di Novaledo si è consumato un inutile balletto delle perizie: inutile, perché la Provincia autonoma di Trento ha già autorizzato la realizzazione, ma sul fatto che si tratti dell'ennesimo colpo - quello di grazia? - all'ambiente della Valsugana non mi sembra che ci siano dubbi. Non voglio affrontare qui l'aspetto tecnico, mi limito, tornando al titolo di questo mio intervento, a sottolinearne il profilo politico: e dico che il ricatto, evidentemente, anche qui ha funzionato. Decine di assunzioni - alcune particolarmente "mirate", come si dice nemmeno troppo a bassa voce nei bar della valle - hanno garantito al capitale (ovviamente foresto) la benevolenza dell'opinione pubblica e quella dei media, che hanno "mollato l'osso" già da un pezzo. Vorrei che i miei concittadini si svegliassero dal loro torpore, s'informassero e riuscissero perlomeno a trovare la forza per vigiliare sulla natura dell'impianto che verrà realizzato, sulla "qualità" (rido per non piangere) dei fumi che rilascerà nell'ambiente: i buoi sono già scappati, proviamo a salvare quei pochi che sono rimasti.













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