La storia

Checco Medori, il “bagonghi” morto a Bolzano per salvare il circo Togni

Il clown nano era una vera star del circo Togni. Molto famoso in tutta Italia per i suoi numeri, nell’agosto del 1951 precipitò  mentre tentava di spegnere l’incendio del tendone in piazza Mazzini a Bolzano. Gianni Brera anni dopo prese ispirazione dal suo coraggio per "Bonimba", il soprannome del calciatore Roberto Boninsegna


Luca Fregona


Bolzano. «Siore e siori, ecco a voi l’unico, irresistibile BA-GON-GHI. Con i tre “Sorellini”, il clown più famoso del mondoooo: CHECCOOOO MEDORIIIII... Fate un bel applauso ai Sorellini».

Il tendone esplode in un boato. Giovedì 20 agosto 1951, piazza Mazzini, spettacolo della sera. Fa un caldo infernale sotto il chapiteau del Togni. Francesco Medori detto “Checco”, vestito da marmittone, con lo schioppo a tracolla più alto di lui di una spanna, fa l’ingresso tra cadute, inciampi, capriole, calci nel sedere ben assestati dai suoi due compari, Darix e Vioris Togni. Loro tre sono “I Sorellini”, famosi in tutta Italia. I bambini sugli spalti si spellano le mani, i genitori si sbellicano dalle risate. I “Sorellini” fanno ogni sera il tutto esaurito. Il numero è un’idea di Ercole Togni, il padre padrone del circo che porta il nome di famiglia, fondato da suo padre Aristide nel 1872. I Togni sono il circo. Fanno tutto, sanno fare tutto: trapezisti, domatori, giocolieri, funamboli, cavallerizzi, acrobati e i clown. Ercole è un duro, un cuore di pietra che tiene i conti con precisione e inflessibilità, perché i costi sono alti e il fiasco e gli incidenti sempre in agguato.

Il numero dei Sorellini gioca sul contrasto fisico tra i suoi figli Darix (un ciclopico domatore) e Vioris (un fusto d’acrobata) con Checco Medori.

«Checco, signore e signori - urla nel microfono volante il presentatore in frac rosso e calzoni da cavallerizzo -, il bagonghi più famoso d’Italia e d’Europa. Anzi, no: del mondo».

“Bagonghi”: così vengono chiamati i nani che da sempre fanno parte del mondo circense. Leggenda dice che il termine derivasse da “Ba Kango”, il nome di una tribù di pigmei dell’Africa occidentale. Una storpiatura per indicare le persone affette da nanismo, esibite nei circhi come pagliacci, mini acrobati e giocolieri. Nell’anno 1951 Checco Medori è il bagonghi numero uno. In Italia, e in Europa.

Il pubblico batte le mani a ritmo mentre parte una marcetta militare. I bambini spalancano gli occhi. Darix e Vioris in divisa napoleonica, Checco da marmittone pasticcione che, regolarmente, capisce fischi per fiaschi. Cascate, capriole, pedate. Una parodia militare: tre sgangherati soldati sul campo di esercitazione. Il copricapo napoleonico di traverso. Giacca nera a coda di rondine, spalline e alamari, calzoni bianchi, stivaloni, bandoliera e schioppo. Checco, a cui sta stretta la maschera stereotipata, ha rivoluzionato il ruolo del clown “nano”, che da decorativo - nel numero dei “Sorellini” - si prende il centro della scena. Il pubblico bolzanino si fa trascinare da uno spettacolo mai visto. Così lo racconta un testimone diretto Enrico Bassano, storico del circo, autore del libro “Darix tra le belve”. «Tutta l’entrata è dedicata agli incidenti buffissimi che toccano alle tre reclute durante l’esercitazione in piazza d’armi. La serie delle catastrofi, delle cadute, degli intralci provocati dai fucili (ciondolanti), dalle bandoliere, dai berretti che cadono in ogni momento ai piedi dei coscritti, i colpi dati reciprocamente sia con le canne delle armi, sia con le pacche sulle zucche e sulle spalle, erano a getto continuo, mentre al minuscolo Medori vengono riserbate le storture della parole pronunciate dai suoi due commilitoni: “ciufile” e “fulice” al posto di fucile, “camarelle” al posto di caramelle, mentre i componenti della banda diventavano addirittura “banditi”».

Medori è la vittima designata. «Darix e Vioris non alzano un piede da terra senza farlo arrivare a destinazione: il fondo della schiena del compagno. I fucili dei due “carnefici” non hanno che un bersaglio preciso: la testa della vittima designata. E i risultati di tutte quelle vessazioni coordinate e perfettamente eseguite, sono di una comicità grottesca quasi violenta. Al centro del trio, con ridevole contrasto della sua struttura di un metro e poco più, serrato tra i macignosi Darix e Vioris, Checco sembra anche più piccolo, mentre il “ciufile” enorme gli sbanda da tutte le parti, e il cappellone napoleonico gli scende fino ad oscurargli la vista e poi vola via come un aquilone. Il risultato è contagioso: poche volte il pubblico ha avuto l’occasione di ridere senza interruzione per almeno dieci minuti. Checco Medori rimbalza come una palla di gomma, possiede una verve comica che ben pochi altri bagonghi hanno».

Nel tendone di piazza Mazzini va in scena un furibondo carosello sulla pula dell’arena, «con i due compagni sopra, quasi a sotterrarlo vivo, con i fucili che danzano in una sarabanda continua, e, nel finale, con la musichetta che diventa una marcetta militare, eseguita con il trombone, la tromba e la grancassa che hanno sostituito le armi nelle mani dei tre marmittoni, e che il pubblico segue ipnotizzato battendo le mani». Un numero incredibile, che - insieme alle tigri di Darix, allo zoo accampato fuori dal tendone con cammelli, leoni e scimmie - fa vendere una montagna biglietti. Lo spettacolo si chiude in un trionfo.

Si replica domani.

Le ali spezzate del bagonghi

Venerdì 21 agosto. Il Circo ancora sonnecchia nelle prime ore di un pomeriggio assolato, torrido come possono essere solo certi giorni d’estate a Bolzano. Un pugno di mocciosi curiosi staziona davanti al recinto dei cammelli. Dentro il tendone, Darix Togni è al lavoro con tigri e leoni nella gabbia circolare in ferro al centro dell’arena. Lo fa ogni giorno: mezzora di esercizi dalle 14 alle 14.30. È uno dei più grandi domatori del suo tempo. Forse il più grande. Poco prima delle 15, leoni e tigri vengono riaccompagnati nelle gabbie all’esterno. Scope e rastrelli, i facchini stanno già ripulendo la pista in vista dello spettacolo della sera. Acrobati, giocolieri, clown e ballerine, sfiancati dall’alfa, chiacchierano sdraiati sulle gradinate. Fa troppo caldo per provare i numeri. Il bagonghi Checco Madori è fuori. Culla la piccola Anna in carrozzina, la sua bimba di appena otto mesi.

“Al fuoco, al fuoco”.

Un urlo che diventa un’onda dal centro dell’arena. Le fiamme sono partite da un tubo di gomma che contiene i fili elettrici e sale verso la pesante cupola del tendone. Gli incendi sono il pericolo principale del circo. L’incubo, il terrore di Ercole Togni. La copertura, le poltroncine, tende e drappi, la paglia per gli animali, le carrozze roulotte: tutto può prendere fuoco in un amen. È già successo. Il fuoco sale veloce, dieci metri e attacca lo chapiteau sopra la pista. In pochi secondi si mangia metri e metri. La cupola è distrutta. Un’immensa nuvola grigia oscura il cielo azzurro d’agosto. La vedono da Corso Libertà e da Corso Italia. La vedono da Gries. La vede tutta Bolzano. Sotto, dentro il tendone, si tenta l’impossibile. Facchini, spazzini, clown, acrobati agguantano gli estintori cercando di soffocare l’origine del rogo. Altri cercano di risalire il lato ancora sano aggrappandosi ai tiranti, raggiungere la cupola e staccare in qualche modo la parte in fiamme. Si arrampica Oscar Togni, fratello di Darix, punta di diamante dei “volteggiatori”. Si arrampica l’acrobata Ugo Bigni. Si arrampica il domatore Ugo Miletti. Si arrampicano il capo del personale Mario Chierico e il guardiano delle bestie feroci Camillo Memoli. Si arrampica anche Checco Medori, il “nano bagonghi”. Vogliono fare in fretta. Le fiamme stanno puntando lo spicchio del tendone a ridosso dello zoo. Nelle gabbie leoni e tigri scalciano, ringhiano, ruggiscono, si lanciano contro le sbarre.

Cristo!, il Nano Bagonghi sale sul pennone come uno scoiattolo con l’estintore tra le braccia. È forte, agile, senza paura. Sale verso i palloni cremisi. Dieci metri in un lampo.

«Checco, Checco, stai attento!», urla Darix.

Medori è in cima. Scarica l’estintore, si aggancia con le gambe al pennone. Gli lanciano la manichetta dell’acqua. Il fumo lo avvolge e lo soffoca. Oscilla Checco. Oscilla avanti e indietro, dentro e fuori dalla nuvola di fumo. Checco lascia cadere la manichetta, prova ad allentare il cavo del telone per isolare la parte che brucia. Il telone cede. Perde la presa Checco. Piomba sull’arena. Un volo di schiena. Un volo di dieci metri. Sbatte sulle poltroncine, sulle panche, sulle sedie. Rimbalza. Sbatte la testa. Una due tre volte. Sbatte la schiena. Una due tre volte.

Darix lo prende in braccio e lo adagia su una coperta. Si dispera Darix: «Checco, Checco, dì qualcosa per l’amor di Dio, apri gli occhi». Gli accarezza la testa.

Ma Checco non risponde. Gli occhi restano chiusi. Un lieve rantolo. Scriverà il cronista dell’Alto Adige: “Il fumo l’investì, lo soffocò. Il bagonghi cercò di resistere disperatamente, ma non riuscì a rendere più lunga la sua lotta. Poi precipitò a terra, piccolo “angelo volante” dalle ali stroncate».

Checco viene adagiato sulla lettiga di un’ambulanza direzione ospedale. È incosciente ma il cuore batte ancora. Arrivano i vigili del fuoco: sette uomini con motopompa e autogrù. Srotolano le manichette. Aggrediscono le fiamme “con potenti getti d’acqua”. Arrivano i carabinieri della Stazione Gries per i rilievi: l’incendio ha divorato cento metri quadrati del tendone, ma il circo è salvo. Un danno da un milione di lire, non coperto da assicurazione. Sconosciute le cause, forse un cortocircuito, forse auto combustione.

Checco è in coma in un letto del reparto chirurgia. I medici scuotono la testa: “Solo Dio lo può salvare”. Ha il cranio fratturato, la colonna vertebrale spezzata. Si sta spegnendo. Passa la notte. Muore la sera del giorno dopo. Il lunedì mattina un corteo funebre di acrobati, clown, giocolieri e ballerine lo scorta fino al circo, poi il feretro parte per Roma. La sera il Circo Togni riprende gli spettacoli sotto il tendone rattoppato.

Bagonghi per caso

La notizia fa il giro di tutto il Paese. Rimbalza sui giornali nazionali. La Tribuna Illustrata gli dedica la copertina. Che storia incredibile quella di Checco Medori, il bagonghi eroe, 31 anni, una bimba di otto mesi, e una vita da film finita tragicamente. Aveva iniziato la sua avventura con i Togni nell’autunno del 1941 quasi per caso. Lui, romano, figlio di un carbonaio, si era presentato a Ercole dopo aver visto uno spettacolo del circo attendato a San Giovanni. Non voleva portare carbone tutta la vita. Ed era stanco di interpretare sempre e solo uno dei sette nani di Biancaneve con la compagnia teatrale del quartiere. Aveva intuito che, per uno come lui, alto un metro, il circo poteva essere un’opportunità, una via d’uscita.

Ercole lo scrittura, gli impone un duro apprendistato. Checco appare in pista negli intermezzi e nelle baruffe dei clown, ma anche come acrobata al trapezio, domatore d’orso “mignon”, infermiere pasticcione, meccanico maldestro. Ore e ore di esercizi, prove su prove. Cadute, capriole, botte finte e vere come vittima designata. È bravissimo, ed Ercole, per non farselo scippare dalla concorrenza, si fa consegnare il passaporto.

Clown di contrabbando

Dopo la guerra Checco decide che ne ha abbastanza, Ercole è padrone della sua vita ma lui vuole cambiare. Lo cerca Egidio Palmiri, il concorrente numero uno dei Togni, che ha in programma una tournée in Costa Azzurra. Checco chiede indietro il passaporto, ma Ercole dice no. Checco non si dispera, scappa.

I Palmiri si mettono d’accordo con alcuni contrabbandieri per farlo passare sui sentieri che da Ventimiglia portano in Francia. A Nizza intanto i Palmiri piantano le tende. Due giorni dopo Medori arriva stanco e barcollante. Lo spettacolo però va male.

I francesi ce l’hanno ancora con gli italiani per la coltellata alle spalle del ’40. Dopo pochi giorni, Palmiri smonta tutto e torna indietro. Si ripresenta il problema di come far rientrare Checco. Lui si rifiuta di fare a piedi la strada dell’andata. Lo infilano in un baule armadio come un appendiabiti poco prima del confine. Clown di “contrabbando”, Checco torna dai Togni. L’inflessibile Ercole si commuove, gli dà il passaporto e gli regala una “casa mobile”, che, nel mondo del circo, equivale a una promozione. È Ercole a intuire, che messo lì in mezzo a quei due marcantoni dei figli, con i suoi tempi comici strepitosi, Checco avrebbe portato il numero dei “Sorellini” alle stelle. E così è stato.

«In principio - racconterà Checco, ormai diventato una star, poco prima di morire - non sapevo fare niente. Ma prova e riprova adesso dicono che sono bravo. Fuori dal circo sarei sempre stato un piccolo carbonaio, più piccolo dei sacchi di carbone in mezzo ai quali vivevo. Nel circo, invece, sono un “grande” uomo».

Bonimba.

Anni dopo, di Checco Medori si ricorderà Gianni Brera.

Impressionato dalla carica agonistica e dalla grinta di Roberto Boninsegna, un giovane calciatore del Cagliari, basso di statura, col naso schiacciato da pugile, Brera gli cucì addosso “Bonim-Bagonghi”, che divenne presto Bonimba. Brera aveva visto in Boninsegna lo stesso coraggio di Medori.

Boninsegna all’inizio non la prese bene: «Io, paragonato a un nano?». Ma poi quando seppe la storia, impressionato dal coraggio del “Bagonghi” Checco Medori, capì. E ne fu onorato.

Il parroco dei circensi.

Ultima suggestione. Sapete chi è oggi il parroco dei circensi italiani? Don Francesco Medori, nipote di Checco.

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