Sindacati

Case di riposo allo sbando, Fenalt: «Mancano le divise, gli infermieri non parlano italiano, la situazione è critica»

Il vice segretario Moser: «Nei turni di notte adesso ti può capitare di lavorare fianco a fianco con un infermiere non iscritto all’albo»

TRENTO. Qualche giorno fa l’assessore provinciale alla sanità Tonina l’ha definito una bomba sociale: è il problema della non autosufficienza. Tonina ha un orizzonte di pianificazione che guarda ai prossimi 20-30 anni. Tempi biblici. Quello che Tonina trascura è che la bomba sociale non è una bomba ad orologeria, ma è una mina che sta già detonando. L’emergenza case di riposo, connessa con il problema dell’autosufficienza, non si placa. Roberto Moser, vice segretario Fenalt e sindacalista di lunga data nel campo delle RSA, non nasconde la sua amarezza: “Sembra che non ci si renda conto dell’urgenza del problema. Ci sono circa mille anziani in attesa di un posto. E la politica tende a rinviare. Ma noi abbiamo bisogno di risposte a breve, se non a brevissimo”.

E’ un fiume in piena nell’elencare le difficoltà quotidiane con cui si scontrano gli operatori: “Alla Vannetti di Rovereto in un anno se ne sono andati 10 infermieri e prossimamente se ne andranno altri 2. Alla casa di riposo di Predazzo il direttore comunica che le divise saranno lavate a giorni alterni e comunque non più di tre volte a settimana. Non è accettabile, perché la divisa è uno strumento che deve garantire l’igiene per l’operatore e per l’ospite, e che non può essere portata fuori dal luogo di lavoro. In un’altra casa di riposo trentina vengono installate telecamere nelle stanze senza la condivisione con i sindacati come previsto dalle leggi. Quando si chiedono delucidazioni la Direzione risponde pubblicamente offendendo i sindacalisti.”

Ma è soprattutto il problema della carenza di infermieri che preoccupa, perché mette a repentaglio la sicurezza degli ospiti: “In molti casi gli infermieri sono forniti da società cooperative. Al momento la legge prevede ancora, grazie a ripetute proroghe post-covid, che possano operare anche se non iscritti all’albo professionale. Può capitare – ed è capitato – che ci si trovi in servizio con un infermiere non italiano che non parla l’italiano! Qui il problema si pone chiaramente in termini di sicurezza, viste ormai le gravi patologie che affliggono gli ospiti.”

Moser smaschera anche la retorica di cui si ammanta spesso il discorso pubblico su questi temi: “Ho sentito che si vorrebbe prendere a modello l’Austria dove si costruirebbe una RSA all’anno. Ad Ala-Avio ne abbiamo una vuota. Quello degli edifici è un falso problema, se lo scopo è quello di accudire gli ospiti e non di fare marketing. Non mancano gli edifici, mancano le persone: infermieri ed operatori!”

Allora qual è la ricetta? “Cerchiamo di capire, seriamente, quello che serve e quello che non serve. Prendiamo a modello la struttura organizzativa di APSS, senza andare in giro per il mondo a cercare organizzazioni non applicabili. E’ da anni che portiamo alla luce sprechi di denaro inutili nelle RSA e nessuno ci dà risposta.”

E per rendere più attrattivo il lavoro? “Dopo 2 anni di ritardo sono arrivati il riconoscimento delle fasce di anzianità. Ma il colmo è che è stato deciso di escludere parecchi operatori da tale riconoscimento (massimo 50 euro al mese lordi). UPIPA lo ha deciso senza confrontarsi con nessuno! Ci sembrerebbe logico un confronto. In questi 2 anni di attesa, poteva starci, ma si vede che il direttore di UPIPA, Massimo Giordani, assieme alla Presidente Michela Chiogna erano troppo impegnati a giocare a scaricabarile con la Provincia sulle responsabilità. Noi chiediamo il contratto sanitario per le Apsp. E’ l’unico modo per ovviare all’esodo verso il sistema sanitario nazionale. E’ urgente. Convocateci e parliamone – conclude Moser - se no fra 20-30 anni avremo poco di cui parlare. Sarà tutto privato e, naturalmente, solo per un’elite”.