«Realizzo il mio sogno all’Aquila, per me  soddisfazione doppia» 

Il nuovo preparatore della Dolomiti Energia Trentino. Giocava nelle squadre giovanili lavora da tanto tempo nella società bianconera, adesso curerà lui i giocatori della Serie A


Federico Casna


TRENTO. Essere protagonisti senza esserlo. Non è un paradosso e non è un controsenso, ma è ciò che si nasconde dietro la figura del preparatore atletico di una squadra professionistica. È il principale responsabile del bene primario di ogni atleta, il corpo, ed è in generale una delle figure con maggiori possibilità di influenzare, positivamente o negativamente, il reale andamento di una stagione, eppure raramente sono regalati al grande pubblico. Ciò non impedisce loro di avere storie da raccontare, come quella di Matteo Tovazzi, che, dopo essere cresciuto cestisticamente nel settore giovanile dell’Aquila Basket, ha studiato tanti anni per tornare in bianconero con un ruolo diverso dal precedente. Molto tempo speso a contatto con i giovani, curando la loro crescita e il loro sviluppo parallelamente alla propria dal punto di vista professionale, continuando a studiare e impratichendosi sul campo. Da qualche settimana il grande salto e l’enorme responsabilità di curare la preparazione atletica della prima squadra della Dolomiti Energia nella stagione 2020/2021.

Buongiorno Matteo, immaginiamo che la recente promozione sia stata per lei una grande soddisfazione. Quando ha iniziato a lavorare per l’Aquila Basket ambiva già a raggiungere questa posizione?

«Sicuramente lo sport ad alto livello è sempre stato il mio obiettivo da raggiungere. Realizzare il mio sogno in un club come questo, per cui ho lavorato tanti anni, anche in diverse vesti, raddoppia senza dubbio la soddisfazione».

Se dovesse spiegare a parole il ruolo del preparatore atletico cosa direbbe?

«Si tratta di lavorare sulle capacità fisiche del giocatore cercando di legarle alle esigenze tecniche dello sport. Forza, velocità e resistenza non è importante che siano fine a sé stesse, ma devono essere poi spendibili dall’atleta».

Il suo lavoro passa dai giovani agli adulti. Come cambia all’atto pratico?

«C’è da dire che negli ultimi anni ero comunque inserito, seppur con un ruolo diverso, nelle dinamiche della prima squadra. Ciò che cambia ora è che la quotidianità sarà totalmente assorbita dalla professione di preparatore atletico. Per quanto riguarda gli obiettivi, c’è invece da dire che nel settore giovanile il lavoro è finalizzato a portare il giocatore al massimo livello possibile, considerando solo parzialmente i risultati, mentre in prima squadra devi lavorare affinché il giocatore dia il meglio delle proprie possibilità in ogni partita».

Su cosa si basa la “riatletizzazione” di giocatori professionisti dopo un periodo di stop così lungo come quello recente?

«Chiaramente, essendo atleti professionisti, nessuno dei giocatori si è fermato completamente, però il lavoro che hanno fatto a casa non può essere paragonato a quello precedente all’interruzione. Ripartiremo dal riadattamento ai carichi di lavoro richiesti dalla pallacanestro, quindi verranno fatti degli esercizi che permetteranno ai muscoli, ai tendini e alle articolazioni dei giocatori di abituarsi gradualmente agli stimoli richiesti da questo sport».

Pensa di cambiare tante cose rispetto alla preparazione dell’ultimo anno?

«È naturale che, cambiando la figura del preparatore atletico, cambi inevitabilmente anche la preparazione ed il lavoro in generale della squadra, perché ogni professionista si approccia al lavoro a proprio modo. La volontà è però quella di evolversi partendo da un lavoro già ottimo fatto negli anni precedenti».

È corretto dire che l’aspetto fisico e prestazionale dello sport sia quello che sta cambiando di più nello sport professionistico? È destinato a durare questo processo o è un momento in cui si punta particolarmente sulla prestanza fisica degli atleti?

«In questo sport l’aspetto fisico è diventato sempre più determinante negli anni e si è raggiunta una fase in cui la ricerca del massimo livello nella singola performance è stata portata all’estremo. Di recente, però, ci si è accorti che questo livello spesso non è sostenibile su lunghi periodi e quindi la materia sta andando nella direzione del load management, quindi verso la gestione del carico di lavoro sugli atleti, in modo da permettere a questi ultimi di fornire prestazioni atletiche di alto livello per il maggior numero di anni possibile».

Qual è la massima soddisfazione di un preparatore atletico? Vedere la propria squadra crescere atleticamente o non avere infortuni in squadra?

«Chiaramente tutti e due (ride, ndr). In generale, comunque, è soddisfacente vedere un giocatore rispondere agli stimoli che tu gli fornisci. Notare dunque un miglioramento tangibile che poi si riflette quando il giocatore mette piede in campo».

Come è strutturata la comunicazione con il coach di una squadra? È importante avere sintonia o è un aspetto secondario?

«È assolutamente fondamentale avere una comunicazione efficace per strutturare il lavoro. Sono già diverse settimane che la condivisione del lavoro con tutti i membri dello staff tecnico è totale».

E con i giocatori? Li informa sul lavoro che stanno per svolgere?

«Anche con loro è molto importante. Credo molto nel rendere i giocatori consapevoli del processo che c’è alle base della preparazione fisica. Conoscendo la finalità e l’obiettivo penso che siano maggiormente predisposti ad approcciarsi correttamente agli esercizi, credendo in ciò che fanno e non limitandosi a fare le cose perché qualcuno glielo dice».

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