Gibo Simoni scende dalla biciclettaIl trentino: "Lascio senza rimpianti"

La crono di Verona al Giro d'Italia è stata l'ultimo atto di una carriera prestigiosa, condotta all'attacco: "Ho sempre dato battaglia senza aspettare l'ultima salita"



VERONA. Giù il sipario, tra gli applausi. Gilberto Simoni ha chiuso la carriera così come l’aveva iniziata: all’attacco. Forse non con l’efficacia di un tempo, ma comunque con la grinta che gli appassionati di ciclismo da sempre gli riconoscono.
 Applausi. Sabato al Passo del Tonale ed anche ieri a Verona, ultima corsa del “Gibo d’Italia”. «Il pubblico è stato veramente grande - racconta Simoni al termine della sua ultima corsa rosa -. Non ho mai ricevuto tanti complimenti e pacche sulle spalle: è stato davvero emozionante e sinceramente non mi aspettavo tutto questo. Ero preoccupato a fare qualcosa, a regalare un’ultima soddisfazione ai miei tifosi. Ma forse al risultato ci pensavo più io che loro. Grazie a tutti».
 Un minimo di comprensibile emozione. Quella di un campione che ha dato al ciclismo.
 «È difficile dire cosa ho dato al mondo delle due ruote. Sicuramente ho sempre dato battaglia e senza mai aspettare l’ultima salita. Ho passato quattro o cinque fasi del ciclismo e, sinceramente, mi piaceva di più quello di qualche anno fa. Quello dei testa a testa. Ora la squadra più forte controlla la corsa. Preferisco il confronto diretto col mio avversario che farmi rincorrere da una squadra».
 Tanti ricordi ed immagini a Verona. Quelle di una lunga e gloriosa carriera. Il momento più bello?
 «Sicuramente la prima maglia rosa. Indossarla è stato qualcosa di unico».
 Ed il più brutto?
 «La positività alla cocaina. Il Giro perso con Basso? Con Ivan ho perso una corsa, con la storia della coca la dignità. Ma sono ancora vivo e non sono un cocainomane».
 C’è una corsa che avrebbe voluto vincere e che sente che le manca?
 «Da domani voglio pensare solo alle corse che ho vinto. Non ci sono corse che mi mancano. Le mie vittorie sono fatte di fatica, arrivate non grazie ad uno sprint di 200 metri, ma al termine di ore di salita, migliaia di metri di dislivello. A ben vedere, ho vinto molto meno di altri. Ma i miei successi sono tutti fantastici».
 Una cosa che non rifarebbe?
 «Ce n’è tante. Se avessi fatto tutto giusto, probabilmente avrei vinto qualcosa in più. Nel momento più importante, invece, anche se non per colpa mia, ho sbagliato tutto. Cancellerei il 2002».
 Un suo pregio ed un suo difetto.
 «Preferisco farmi giudicare che giudicarmi. Come difetto, direi che sono un testone. Ma, al tempo stesso, è anche il mio pregio: non mi sono mai arreso ed ho lottato fino alla fine».
 Ed ora ce lo vede un Simoni senza bicicletta?
 «Assolutamente no. In bicicletta ci andrò sempre, è una cosa che mi rilassa, che mi libera la mente. Sono andato in bici per 25 anni, ho fatto solo quello. Anzi, ho fatto anche una famiglia. Ora mi dedicherò a quella».
 Cosa farà Simoni da grande?
 «Intanto posso dire quello che non farò. L’anno prossimo appenderò la bicicletta al chiodo. La prima domenica di luglio sul Pordoi, in occasione del Sellardonda Day. Poi si vedrà».
 L’ultima gara, però, sarà quella di Folgaria in agosto, in mountain bike.
 «L’ultima corsa è stata la crono di Verona. A Folgaria ci sarò, ma per divertirmi».
 C’è una dedica alla carriera?
 «Ce ne sarebbero tante. Ho iniziato con Moser e finito con Saronni. Se devo fare un nome, dico Nino Marconi. È stato un importante punto di riferimento per me».
 Un ultimo applauso al “Gibo d’Italia”. Il ciclismo trentino, sentitamente, ringrazia.













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