BRIENZA, CHE ALLENAVA CONTRO... SE STESSO

Coach Brienza si definisce un “bambino di strada”. Fin da piccolo le sue giornate trascorrono in un enorme campo di grano vicino a casa: il calcio è la sua prima passione, ruolo portiere. Come è...



Coach Brienza si definisce un “bambino di strada”. Fin da piccolo le sue giornate trascorrono in un enorme campo di grano vicino a casa: il calcio è la sua prima passione, ruolo portiere. Come è normale che sia, in una Cantù che vive di basket, non passa troppo tempo prima che sia proprio la pallacanestro ad attirare le sue attenzioni. Dalla strada alla palestra, per la gioia di mamma Teodora che non si ritrova più montagne di vestiti sporchi da lavare. Una breve esperienza alla Libertas e poi subito Pallacanestro Cantù, dove vincerà due scudetti giovanili sotto la guida di Pino Sacripanti. Nicola fa tutta la trafila fino alla Juniores, quando il suo sogno di diventare un giocatore professionista si blocca improvvisamente per la rottura del crociato.

Chiusa una porta si apre un portone. Proverbio tanto banale quanto appropriato: Sacripanti crede in lui e lo sprona ad ottenere il patentino da allenatore. La prima esperienza da head coach è tutta da ridere, quanto meno per noi che la raccontiamo. Cantù gli affida la squadra degli ’88 ma il rimborso è poca cosa. Nicola per arrotondare decide di allenare anche ad Arosio e Cabiate che giocano nello stesso girone. Andata su una panchina e ritorno sull’altra da avversario di se stesso. La stagione più devastante della sua carriera.

«Nic, tieniti pronto. Gerasimenko ha deciso di esonerare Corbani. Ha ingaggiato Bazarevich, ma non si sa quando arrivi. Adesso tocca a te». La chiamata che gli cambia la carriera arriva alle 8.15 di una mattina del dicembre 2015, come si legge nel libro “Nicola Brienza - Uno di noi”. La prima partita è contro Trento ed è subito una vittoria. Il presidente lo prende da parte e gli domanda quanto guadagnasse. «Così poco? - chiede quando realizza - Perché non mi hai detto che sapevi allenare? Ormai ho preso Bazarevich, potevo tranquillamente risparmiare».

A fine stagione il presidente gli promette prima il posto di capo allenatore, poi di vice e infine niente. Un anno da head coach a Lugano e poi ancora da secondo a Capo d’Orlando nella stagione delle 21 sconfitte consecutive. «Alla luce di come stavano andando le cose, un pensierino al fatto che potesse essere il mio momento me l’ero lasciato scappare - commenta Brienza - invece la società chiama Mazzon e io inizio a pormi delle domande. Capisco che era il momento di tornare a casa». Nicola torna così a Cantù, stavolta da vice, ma in società regna il caos più totale. Una mattina, senza nessun preavviso, gli arriva la chiamata di coach Pashutin: «Sono in aeroporto, sto partendo. Sei un allenatore fatto e finito, non avrai nessun problema». «Sono talmente fortunato in amore che cominciavo a pensare di essere sfigato professionalmente - racconta scherzosamente Brienza - dal nulla invece mi sono trovato a fare quello che ho sempre sognato». Da quel momento inizia la carriera da capo allenatore di Nicola Brienza in Serie A, il resto della storia la conosciamo, o meglio, siamo in attesa di conoscerla.

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