istruzione

La “scuola lenta” di Federica Garzetti

«Si scrive insegnante, si legge psicologa, babysitter, guru, consulente di coppia, videomaker, attrice e presentatrice»


di Daniele Peretti


TRENTO. Insegnare mettendo al centro l'educazione e le potenzialità di ognuno. Federica Garzetti, classe 1976, è la docente di scuola media che ha portato per la prima volta all'Arcivescovile di Trento la "Slow School". Insegnante social, ama il suo lavoro e ama raccontarlo.

Partiamo dalle tre definizioni con cui si descrive. La prima: arredatrice di non luoghi. Si tratta di quell’atmosfera che ognuno di noi può creare ovunque ci si trovi. Ad esempio, trasformare la sala professori in quello che potrebbe essere un locale di qualsiasi abitazione: divano, frigorifero, tavolo e arredamenti portati da ognuno di noi.

La seconda: Coltivatrice diretta di sogni. Insegno alle medie perché ritengo che quella sia l’età della possibilità. Quello che riesco a far fare ai ragazzi è già dentro di loro, la mia è solo una spolveratina che libera i loro sogni: semplici ma realisti come possono essere solo a quell’età.

La terza: Intrattenitrice di demoni interiori: Mi accompagnano nel quotidiano. Sono molto severa con me stessa e per questo affronto numerose lotte interiori: dall’ansia di non riuscire, alla fretta di concludere.

Affondiamo il colpo: tra tanti progetti realizzati c’è stato un fallimento ? La “Slow School” è stato un indirizzo sperimentale delle scuole medie dell’Arcivescovile dal 2015 al 2019. Due ore di lezione di una stessa materia dove si alternavano attività di gruppo e individuali, pause più lunghe e molto laboratorio. Non c’erano compiti a casa, si faceva tutto a scuola. Ma consideri che non è facile studiare in classe.

Sembra un sogno, casa andò storto? Innanzitutto il cambio di dirigente scolastico. Nella nostra scuola, la sua parola è sovrana. Il primo preside era favorevole all’esperimento, il secondo no. Il progetto richiedeva poi molta elasticità da parte dei colleghi.

Perché la scelta di insegnare nella scuola media ? Non la considero riduttiva, a differenza di molti colleghi che ambiscono alle superiori. Mi affascina l’idea di lavorare sui saperi di base, stimolare i ragazzi nell’orientamento e contribuire alla loro educazione. Lo definirei un lavoro maieutico. Non solo, ma alle medie non si dipende dalle prestazioni, come invece succede alle superiori.

Insegnante di sostegno: com’è stata questa esperienza ? Fondamentale perché mi ha fatto capire che un docente deve prima di tutto intuire i bisogni dei ragazzi. Ma è importante anche la qualità del lavoro: il tempo e ciò che si riesce a fare è poco, bisogna dunque puntare sulla profondità. Agli inizi il mio entusiasmo si è scontrato con una realtà non facile.

La sua fantasia applicata allo studio è… Proporre ai ragazzi di sostituirsi a Cecco Angiolieri e scrivere loro le poesie, creare un personale inferno di Dante descrivendolo sulla falsariga, ma con chi vogliono loro nel ruolo di dannati: i ragazzi sono dei giudici tremendi.

C’è stata anche una corrispondenza con Liliana Segre. Le abbiamo scritto quando è stata bocciata la sua proposta di legge sulla violenza verbale. Abbiamo studiato molti post social dai toni violenti, i ragazzi hanno capito che è ormai scomparsa la vergogna e le hanno scritto chiedendo dei consigli. Dopo qualche settimana è arrivata la sua risposta che suggeriva di considerare la Costituzione come una sorta di stella polare che indica la via. Alle medie ci si allena anche a capire la bellezza.

Cosa manca alla scuola? È assurdo, ma non si parla mai di benessere dei ragazzi, un aspetto fondamentale da cui dipendono molti disturbi alimentari e di comportamento, fino ai suicidi.

Quali sono i suoi hobby? Mi piace scrivere e leggo racconti per stimolare la creatività e l’ironia. Da due anni ho aperto una mia pagina Facebook e Instagram – Teensophy – dove pubblico brevi racconti ispirati al mondo adolescenziale. Li chiamo “racconti sciocchini”, ma piacciono. Mi dedico anche alla fotografia, ma più a sentimento che per capacità.

Sogni ? Senz’altro quello di portare a termine la Slow School facendola diventare un progetto scolastico continuativo. Ho nel cassetto tanti racconti che mi piacerebbe raccogliere in un romanzo, la mia forma narrativa preferita.

Chiudiamo con una soddisfazione che non si aspettava. Senz’altro quella di essere stata una delle 50 finaliste su undicimila partecipanti dell’Italian Teacher Prize.













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