l’intervista

La pedagogista trentina: «La Dad non può diventare la normalità»

Ornella De Sanctis teme un aumento della dispersione scolastica: «c’è tutto il sommerso di sofferenza che i ragazzi non esprimono»

IL QUESTIONARIO: Coinvolti 1500 studenti trentini


di Fabio Peterlongo


TRENTO. Complessiva soddisfazione per la didattica a distanza (promossa dal 60% degli studenti), ma anche esplosione dei disagi di natura psicologica, tra disturbi del sonno, dell’umore e dell’appetito (con solo il 10% degli studenti che segnala di non avere avuto problemi).

Preoccupazione diffusa per la qualità del proprio apprendimento (il 44% è convinto che peggiorerà), ma per la maggior parte degli studenti essa è rimasta stabile (58,3%) ed addirittura una percentuale non trascurabile sostiene che la didattica è migliorata (12%).

In generale però gli studenti trentini hanno fatto fatica a trovare nei canali scolastici ufficiali una capacità di ascolto in grado di placarne ansie e preoccupazioni (solo il 3,8% si è rivolto allo psicologo scolastico e il 4,1% agli insegnanti).

Abbiamo interpellato la pedagogista Ornella De Sanctis, che si occupa di progetti volti a contrastare la dispersione scolastica, per cercare di comprendere l’impatto che la “dad” e le restrizioni pandemiche hanno avuto e stanno avendo sull’esperienza scolastica dei ragazzi trentini, sia nell’apprendimento che nella loro personale serenità.

«La “dad” è una soluzione emergenziale e non può diventare la normalità - ha sottolineato la pedagogista - Non bisogna farsi ingannare dal dato della “soddisfazione” per la didattica in remoto, perché la scuola non è solo apprendimento di nozioni. E i voti, che sulla carta hanno tenuto, potrebbero essere gonfiati dai trucchi usati nel sicuro della propria stanza durante prove ed interrogazioni».

Il questionario, redatto dall’Ordine degli Psicologi, è stato proposto nelle classi delle scuole medie e superiori dalla Consulta provinciale Genitori ed ha coinvolto circa 1500 studenti compresi tra 11 e 20 anni.

Dottoressa De Sanctis, quale ruolo immagina per la didattica a distanza nel futuro?

La “dad” è una risposta all’emergenza e deve rimanere così. Eravamo in una situazione di impossibilità d’accedere ai luoghi della “contaminazione”, che se dal punto di vista epidemico è del tutto corretto, in senso più ampio la contaminazione è un elemento necessario alla crescita e alla costruzione dell’identità dei più giovani.

Quali sono gli elementi di sofferenza che ha raccolto tra i ragazzi in questi due anni?

Negli adolescenti la distanza tra i corpi crea sofferenza. Sfoggiano uno stile e un abbigliamento sempre diversi per distinguersi, ma al tempo stesso sono sempre alla ricerca del gruppo dei coetanei. Nelle lezioni in “dad” c’è una grande difficoltà a mostrarsi. Tanti spengono la webcam per non essere visti durante le lezioni, al punto che è stato necessario rendere obbligatorio mostrarsi. Ma è un segno di sofferenza, perché il ragazzo non si può raccontare, mostrando la maglietta, i capelli, il trucco, e anzi magari smettono di farsi la doccia, si presentano in pigiama. Questi sono anni buttati per la crescita.

Eppure, secondo il questionario, il 60% degli studenti interpellati si dice soddisfatto della “dad”. Come se lo spiega?

Può essere che la risposta di “soddisfazione” riguardi solo il mero apprendimento delle nozioni didattiche. Immaginare che questa sia un’autentica soddisfazione è rischioso. Quella degli adolescenti è la fascia d’età che ha più bisogno di presenza. I ragazzini che facevano fatica a socializzare ora magari sono quelli più soddisfatti, ma si nasconde il problema. L’apprendimento richiede serenità e condivisione, è l’elemento che dà colore e spessore all’apprendimento delle nozioni.

Dal punto di vista dell’apprendimento, quali sono gli elementi che la preoccupano maggiormente?

Temo aumenti la dispersione scolastica, in particolare alle scuole professionali. Professori delle professionali mi dicono che in seguito all’impossibilità di frequentare i laboratori, le classi “terze” sono quasi delle “prime” a livello di competenze acquisite. Poi c’è tutto il sommerso di sofferenza che i ragazzi non esprimono.

In effetti la quota di studenti che ha chiesto aiuto ai canali scolastici ufficiali è molto bassa. Cosa è mancato?

La richiesta di aiuto è possibile solo quando l’adulto è molto accogliente. Un conto è l’aiuto tra amici, è più semplice e spontaneo, per lo meno quando si possono vedere. Deve essere compito dell’adulto costruire relazioni accoglienti. Gli spazi d’ascolto nelle scuole funzionano bene quando c’è un filtro degli insegnanti, che suggeriscono al ragazzo di “andare a fare due chiacchiere” con lo psicologo scolastico. Insomma, tutto passa attraverso la relazione. Anche dal punto di vista del mero apprendimento. Se c’è serenità faccio la metà della fatica ad insegnare, ad apprendere e a chiedere aiuto.

Quali sono le responsabilità degli insegnanti?

Teoricamente gli insegnanti dovrebbero essere più formati sulla gestione pedagogica degli studenti rispetto al passato, ma spesso sono lasciati soli. Anche perché tra gli insegnanti c’è chi ha doti relazionali innate, mentre altri fanno fatica e necessitano di strumenti in più.

Anche il rendimento scolastico non ha avuto un crollo particolare in questi due anni. Cosa ci dice il mancato calo dei voti?

Si è stati di “manica larga” per sopperire all’emergenza? Ritenere il voto in pagella come un dato che avvalora realmente la qualità dell’apprendimento è per lo meno problematico. Molti studenti stavano con il cellulare vicino allo schermo per “copiare” o trovare qualche aiutino. Fare la verifica a distanza è faticoso. Forse solo i ragazzi più ansiosi, quelli che maggiormente soffrono l’esposizione verso i pari possono beneficiarne, ma anche qui è solo un aggirare il problema. Insomma, la “dad” va usata quando serve perché “siamo in guerra”, ma non deve passare il concetto che possa essere una nuova normalità.













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