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Hikikomori, quando il rifiuto della vita è sociale

Il fenomeno, originario del Giappone, in Italia riguarda circa 120.000 giovani, e spesso ha origine nel passaggio da scuola media a scuola superiore. La nostra intervista alla psicologa Giulia Tomasi nella Giornata mondiale della prevenzione del suicidio


Fabio Peterlongo


TRENTO. Oggi, 10 settembre, ricorre la Giornata Mondiale per la prevenzione del suicidio. Tuttavia esistono forme di rifiuto della vita che non passano attraverso il gesto suicidiario. Esiste quello che viene spesso definito “suicidio sociale”, il ritiro assoluto della persona dalla sua rete di relazioni.

È il fenomeno degli hikikomori, i “ritirati”: si tratta di giovani, perlopiù maschi, che si chiudono nella solitudine della loro stanza, rifugiandosi nel mondo virtuale, attraverso un uso abnorme di social-network e videogiochi.

Tali comportamenti emergono spesso nella prima adolescenza, gli anni in cui l’individuo inizia ad avvertire l’ansia della prestazione sociale, il desiderio frustrato di piacere, esasperato dalla cultura dei social dove le immagini degli apparenti successi degli altri arrivano prepotenti sugli schermi degli smartphone.

Per alcuni, questa competizione si fa semplicemente insopportabile. Ne abbiamo parlato con la psicologa Giulia Tomasi, che assieme all’Associazione Auto-Mutuo-Aiuto AMA Trento, si confronta quotidianamente con questi ragazzi.

Attivato da circa cinque anni, il gruppo trentino dedicato agli hikikomori ha registrato le richieste d'aiuto di oltre venti famiglie. Dalla nostra conversazione emerge quanto sia centrale il ruolo della scuola: «La scuola ha una duplice potenzialità - ha spiegato Tomasi - Da un lato permette di individuare la presenza di questo disagio nei ragazzi e dall’altro può configurare degli interventi in grado di portare ad una soluzione. D’altronde gli hikikomori sono spesso ragazzi molto intelligenti, sono stati studenti modello. Solo che, da un certo punto in poi, non riescono più a relazionarsi con i loro coetanei».

Dottoressa Tomasi, che dimensione ha il fenomeno degli hikikomori?

È difficile avere una dimensione del fenomeno, sappiamo che coinvolge circa 120mila persone tra i 15 e i 30 anni a livello nazionale, un numero che consideriamo affidabile, ma è chiaro che esistono persone over-30 con questa stessa problematica e che magari non vengono conteggiati.

Dunque sono spesso ragazzi in età scolare. Qual è il ruolo della scuola nell’individuare la presenza degli hikikomori?

È cruciale il ruolo della scuola nell’individuare questi ragazzi, proprio perché smettendo di andare a scuola manifestano in maniera evidente questo tipo di disagio. Ma è spesso il contesto scolastico a causare il precipitare verso il ritiro. È nel contesto classe, in particolare durante l’ultimo anno delle medie e i primi due anni delle superiori, che esordisce spesso la sindrome hikikomori.

Che rapporto hanno gli hikikomori con la scuola e con l’impegno scolastico?

I fattori precipitanti che portano al ritiro sono talvolta atti di bullismo o difficoltà con i docenti, ma in generale gli hikikomori non rifiutano di per sé l'impegno scolastico. Rifiutano un certo tipo di socialità, quella in cui sono immersi, che è molto competitiva. Ciò non impedisce loro di portare avanti gli impegni scolastici nel “ritiro”. È proprio il contesto del gruppo classe che l’hikikomori rifiuta. Lo abbiamo verificato persino durante la didattica a distanza, non è una questione di presenza fisica.

Come rispondono i compagni di classe quando si rendono conto che tra di loro c’è un ragazzo “ritirato”?

Se nel passato gli atti di bullismo e le vessazioni contro quelli che venivano percepiti come “diversi” erano quasi la norma, oggi gli adolescenti spesso stigmatizzano questi comportamenti violenti. Ma c’è un “ma”: se gli adolescenti di oggi hanno una maggiore capacità di inclusione, c’è forse un eccessiva tendenza alla normalizzazione di questo tipo di comportamenti, il ritiro di un ragazzo non sorprende i suoi coetanei.

In qualche modo i genitori cercano di sollecitare un intervento dei coetanei del loro figlio “ritirato”?

I genitori cercano alleati tra i compagni di classe, magari domandano di “farsi sentire”, di riaccendere i contatti. Tuttavia i ragazzi hikikomori si rendono conto dell’artificiosità di queste intenzioni, si sentono vittime di una presa in giro e la percepiscono come un’umiliazione. Pensiamo ad esempio al caso in cui il docente “annuncia” alla classe che quel giorno sarebbe tornato il ragazzo da lungo tempo assente. Lo fa in buona fede e cerca di predisporre un’accoglienza adeguata. Ma lo studente hikikomori se ne accorge e questo lo porta a rifiutare l’interazione con gli altri.

Qual è in generale il rapporto dell’hikikomori con il docente?

Anche il rapporto conflittuale con un docente può essere un fattore precipitante, ma nella maggior parte dei casi è il rapporto con i coetanei quello che scatena il ritiro. In genere l’hikikomori non dà problemi a livello scolastico, è “bravo” e non disturba, è tra virgolette lo studente perfetto. Il problema semmai è che questi ragazzi passano inosservati e i loro disagi non vengono visti.

Come reagiscono i docenti alla presenza (o più spesso assenza) di un hikikomori? Con note sul registro, voti bassi e bocciature o con tentativi di comprensione?

Gli adulti non capiscono bene che oggi non viviamo più in una società normativa dove le note, i brutti voti in condotta, i castighi possono funzionare. Anzi favoriscono il ritiro perché l’hikikomori li percepisce come ferite. Non è con l’intransigenza che si aiutano questi ragazzi. Serve un lavoro di comprensione da parte dei docenti e dei coetanei, perché i ragazzi vivono all'interno di una società narcisistica.

Lei delinea due tipi di mentalità, una normativa e una narcisistica. Che cosa intende?

Oggi viviamo in una società narcisistica e affettiva, dove il genitore non impone le regole, ma le spiega. Eravamo abituati a ribellioni adolescenziali di tipo esplosivo, con la fuga di casa, la ribellione, l'uso di sostanze. Era una ribellione contro un approccio pedagogico di tipo normativo: genitori e docenti usavano la logica del premio e del castigo ed il figlio per timore di una punizione adeguava il suo comportamento. Al contrario, l’obiettivo dei ragazzi oggi è essere felici, essere autentici, essere realizzati, pienamente sé stessi. Internet e i social-network, di cui gli hikikomori abusano, mettono costantemente di fronte alla presunta realizzazione degli altri, alla felicità altrui, alle soddisfazioni degli altri.

Come comunicano i genitori e le istituzioni scolastiche?

In Trentino scuola e genitori comunicano abbastanza bene. Sono spesso i genitori che sollevano il problema con la scuola. Da parte dei genitori e delle istituzioni scolastiche c'è il tentativo di tenere il ragazzo agganciato ad ogni costo alla scuola. Ma è importante che le scuole si rendano conto che i ragazzi hikikomori non gradiscono eventuali favoritismi, li fanno soffrire.

Per i regolamenti scolastici, chi supera una certa soglia di assenze da scuola, è destinato alla bocciatura. È quello che accade a questi ragazzi?

Occorre equilibrio e le scuole devono rendersi conto che non basta qualche ora trascorsa in classe per giustificare una promozione dello studente. La risposta varia da scuola a scuola: talvolta vengono attivati progetti sulla base dei bisogni educativi speciali dei ragazzi hikikomori. È giusto che si persegua l’obiettivo del far arrivare il ragazzo al diploma, perché spesso una volta che approda all’università o al mondo del lavoro, c’è una svolta e si va verso una risoluzione del problema. Ma serve un patto condiviso tra tutti: occorre che i docenti, le famiglie e i ragazzi mettano a punto il progetto giusto per le specifiche esigenze. A titolo di esempio, in Ama vediamo tanti “hikikomori” che frequentano le scuole serali: lì percepiscono un clima meno competitivo, un grado di comprensione più accentuato.  

Oggi è la giornata per la prevenzione del suicidio. Senza in alcun modo ipotizzare un collegamento tra il fenomeno degli hikikomori ed eventuali ideazioni suicidiarie, in qualche modo questi due ambiti si “sfiorano”?

Quella dell’hikikomori non è una patologia, ma è senza dubbio una condizione patogena, perché innesca situazioni patologiche. L’abuso di internet, talvolta l’abuso di cibo o i disturbi dell’alimentazione, il rifiuto degli altri possono sicuramente sfociare in disagi profondi come la depressione. Quello dell’hikikomori è un autentico suicidio sociale, è un tentativo adattativo di stare meglio, di evitare il dolore. Ma il ritiro è chiaramente una soluzione che non può reggere a lungo termine.

L’Associazione AMA Trento organizza per il 22 settembre un webinar informativo che lancerà una raccolta fondi volta a sostenere il progetto “Hikikomori - La vita oltre la stanza”, con il quale si vuole garantire il supporto di operatori qualificati a sostegno dei ragazzi “ritirati”. Per ulteriori informazioni, si visiti il sito www.automutuoaiuto.it.













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