Scuola

Dislessia, fino ad un anno di attesa per il primo contatto con un neuropsichiatra

Katja Tabarelli, presidente dell’Associazione Dsa Trentino: «Tempi lunghi e troppi costi, e i riflessi sulle scuole sono molto pesanti. Soprattutto dopo la pandemia»


Fabio Peterlongo


TRENTO. Una ricerca pubblicata il 24 giugno dalla prestigiosa Università di Cambridge (QUI il testo completo) indica nella dislessia la possibile prova di una personalità “geniale”: la persona con disturbi specifici dell'apprendimento (dislessia, disgrafia, discalculia, disprassia) sa adattare in maniera brillante le sue competenze alle richieste della società e trovare strategie in grado di sopperire al suo disturbo.

Così riesce ad eccellere sia in campo scolastico che nel lavoro, soprattutto nei mestieri creativi e nell'imprenditoria dove è più alta la richiesta di elasticità ed è meno necessario compiere lavori ripetitivi.

Ma la persona con Dsa può realizzare appieno questo potenziale solo se è accolta in un sistema educativo e scolastico adeguato alle sue esigenze. Centrale è il riconoscimento precoce del Dsa, in modo che le famiglie e le scuole possano intervenire tempestivamente.

Eppure in Trentino (dove il 7,6% della popolazione scolastica ha un Dsa secondo i dati 2019 del Miur) a causa della scarsità numerica di neuropsichiatri infantili possono passare molti mesi ed addirittura un anno prima che avvenga il primo contatto tra lo specialista e il bambino, soprattutto nelle aree più distanti da Trento. Lo spiega Katja Tabarelli, presidente dell'associazione Dsa Trentino: «Alcune delle famiglie che seguiamo indicano in venti giorni i tempi d'attesa per il primo incontro con gli specialisti, altri raccontano attese di sei mesi o persino un anno. Dipende anche dal contesto territoriale».

La diagnosi di Dsa arriva al termine di un percorso complesso per il quale occorre un'equipe composta da tre specialisti: un neuropsichiatra, uno psicologo ed un logopedista: «Una articolata serie di test puntano ad escludere la presenza di problematiche neurologiche e psicologiche - ha spiegato Tabarelli - Da quel momento, i test sono in grado di indicare la presenza di Dsa, che non è una patologia bensì una neurodiversità».

La necessaria compresenza di diversi operatori che coprono differenti specializzazioni è la principale problematica che può rendere tortuoso il riconoscimento di Dsa. E nel sistema sanitario trentino, i neuropsichiatri infantili sono drammaticamente pochi.

A luglio 2021 una delibera della giunta provinciale è intervenuta sulla carenza numerica dei neuropsichiatri infantili, consentendo ai soggetti privati l'abilitazione per la certificazione di Dsa.

I risultati dell'abilitazione dei privati sono stati finora discontinui, soprattutto nelle valli periferiche: «La giunta si è uniformata alla normativa nazionale consentendo l'abilitazione dei soggetti privati al fine di permettere loro la certificazione di Dsa. Sedici studi hanno ottenuto l'abilitazione, quasi tutti con sede a Trento - ha spiegato Tabarelli - Le equipe vanno a coprire le diverse aree del Trentino, ma il singolo neuropsichiatra si trova a coprire contemporaneamente numerosi ambiti territoriali. E i neuropsichiatri non si occupano solo di Dsa, ma anche delle diagnosi di autismo e di altre situazioni delicate. L'abilitazione dei privati è recente ed avrà i suoi effetti nel tempo, dobbiamo aspettarne gli esiti».

Accedere agli specialisti non è però solo un problema di tempi: per alcune famiglie diventa anche un problema di costi: «Le difficoltà di risposta del servizio sanitario ricadono economicamente sulle famiglie - sottolinea Tabarelli - Conosciamo più di una famiglia dove non è un solo figlio ad avere la necessità di accedere ai servizi per Dsa, ma tutti i figli».

A peggiorare la situazione c'è stata la pandemia. La didattica a distanza ha reso impervio il riconoscimento in ambito scolastico dei segnali tipici di Dsa: «Il ricorso alla “dad” è stato inevitabile, - riflette Tabarelli - ma la mancanza del consueto rapporto docente-studente ha senza dubbio permesso che numerosi casi di Dsa non siano stati rilevati. Temo che nel futuro vedremo gli effetti del mancato monitoraggio degli ultimi due anni».

Tabarelli ha posto un tema cruciale, il superamento della medicalizzazione delle persone con Dsa: «Spesso ai genitori di bambini con Dsa viene consigliato di avvalersi della legge 104, ma questo è inaccettabile perché le persone con Dsa non hanno bisogno di essere medicalizzate - riflette Tabarelli - La ricerca di Cambridge è stata come un "abbraccio" per noi, perché riconosce ulteriormente che i disturbi specifici dell'apprendimento non portano solo difficoltà, ma anche grandi risorse che possono essere valorizzate attraverso un ripensamento del modo in cui si affrontano i Dsa soprattutto nel contesto scolastico».

È proprio a scuola, tipicamente nei primi anni delle scuole elementari o delle scuole medie, che i Dsa vengono riconosciuti: «Il bambino si rende conto che fa una fatica enorme a stare al passo con i coetanei, in termini di capacità di lettura, scrittura, calcolo, e per questo sviluppa strategie personali per non rimanere indietro» evidenzia Tabarelli.

Ma le strategie spontanee che gli studenti con Dsa mettono in atto possono non bastare o essere controproducenti se non sviluppate insieme a un personale scolastico adeguatamente formato: «Occorre che il lavoro di classe sia orientato verso una valorizzazione delle capacità individuali, - auspica Tabarelli - non solo alla ripetitività di test e verifiche uguali per tutti, che mettono in difficoltà gli studenti con Dsa. Per fortuna sono tantissimi gli insegnanti che si rivolgono a noi per affinare le loro competenze».

Porre il focus dell'attività didattica sulla formazione individuale può rappresentare una rivoluzione positiva per l'intero gruppo classe: «È quello che ha sostenuto la ricerca di Cambridge: la valorizzazione delle persone con Dsa può rappresentare un'opportunità per tutti, un modo per valorizzare le peculiarità di ciascuno», ha concluso Tabarelli.













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