il personaggio

La regista Cecilia Bozza Wolf: «Cerco l’anima della montagna»

Dai documentari alla black comedy ma sempre con lo sguardo sulla gente delle nostre vallate


di Daniele Peretti


CASTEL IVANO. Cecilia Bozza Wolf ovvero “la ragazza di montagna che ama raccontare le storie del territorio, perché definirmi regista è cosa che mi imbarazza”. Cecilia è originaria della Bassa Valsugana, di Castelnuovo; nel 2012 si laurea al Dams di Padova con indirizzo Spettacolo e Cinema, la sua tesi è su Federico Fellini e ha ottimi riscontri; tant’è che si iscrive alla specialistica con la chiara richiesta degli insegnanti di farla diventare una loro collega. Lo scenario cambia del tutto quando Cecilia riesce ad entrare a far parte del gruppo di trenta studenti da tutto il mondo che ogni tre anni accede alla scuola di documentario Zelig di Bolzano.

Dopo il primo anno è una commissione a scegliere il corso di specializzazione e tra regia, direzione fotografica e montatori per Cecilia si apre il mondo della regia.

A quel punto bisogna preparare un documentario. Scelgo la vita in montagna e mi colpisce la presenza di tante band rock in Valle di Cembra. Per non fare la figura della rompiscatole mi trasferisco in Valle di Cembra e vivo dentro a quella realtà che avrei voluto descrivere, ma succede una cosa imprevista.

Quale? Partendo da una realtà adolescenziale emerge lentamente un mondo adulto nascosto, fatto di alcolismo diffuso, di suicidi e di disagio familiare che mi porta su una strada del tutto diversa. È così che realizzo il documentario che titolo con la parola dialettale Vergot.

Si racconta la storia di un figlio che non riesce a dire ai propri genitori che è omosessuale. Storia vera realizzata con materiale intimo che ho raccolto quasi in due anni. I ragazzi li avevo conosciuti lavorando sulle band, tra loro c’era lui che diventerà il protagonista del documentario che indossava sempre il chiodo e faceva il duro, fino a quando non è emersa la sua crisi interiore.

Un documentario di rottura? Non direi perché è una storia comune a tante altre. Vergot è stato il mio primo documentario di creazione e ne vado fiera.

Mentre il primo film arriva con Rispet altro titolo in dialetto. È un termine in bilico tra vergogna ed onore e sono due sentimenti propri della gente di montagna. L’ho girato con attori non protagonisti: ad esempio la barista del film è stata per quindici anni barista a Cembra e racconta le vicissitudini di un ragazzo definito dalla gente come “strambo” e per questo verrà accusato ingiustamente di una serie di eventi negativi che colpiscono il paese.

Titoli in dialetto, ambientazioni in Val di Cembra: è un legame forte con le nostre montagne. È il mondo nel quale viviamo e non avrei mai pensato dopo aver detto che non sarei mai tornata in Valsugana, di provare il desiderio di farlo. Le nostre montagne forgiano il carattere, nascondono cose belle e brutte e finiscono per essere parte della nostra vita.

Che tipo di regista è? Quello che quando lavora diventa un corpo unico con la cinepresa che porto sempre in spalla: diventa quasi un terzo occhio. Così mi sembra di raccogliere meglio le sfumature, gli sguardi e le espressioni di attori che non essendo professionisti sono caratterizzati da una spontaneità che non si può perdere.

Ora a cosa sta lavorando? Sto preparando la mia prima black comedy, commedia nera, con una trama che mi piace molto. Le protagoniste sono tre Drag Queen di Mantova che ho conosciuto al Dolomiti Pride a Trento. Le ragazze finiscono per essere ricattate e costrette a partecipare ad un Palio del Boscaiolo e ne succederanno un po' di tutti i colori.

Anche questa Black Comedy sarà ambientata in Trentino? Lo decideremo in base alle esigenze della produzione. Essendoci una partecipazione sia altoatesina che austriaca, facile che lo scenario inventato possa avere una collocazione diversa, ma voglio comunque restare tra le montagne a noi più vicine.

Regista emergente in una carriera di successo, qual è stata la soddisfazione maggiore? L’ho avuta con Vergot. Alla fine delle riprese mi sono resa conto di aver trattato la difficoltà del dialogo famigliare che va ben oltre il caso specifico di una omosessualità da confessare. I momenti più belli sono stati quando a fine proiezione i genitori mi ringraziavano perché le mie scene li avevano aiutati a capire gli sbagli nel rapporto con i figli. Il massimo però è stata la lettera di un padre, dove mi diceva che dopo aver visto il documentario insieme al proprio figlio, il ragazzo gli ha confessato di essere anche lui omosessuale. Il padre lo aveva intuito, ma fino ad allora non era mai riuscito a creare le basi di una dialogo a tal punto intimo da arrivare alla confessione. Ci sono riusciti guardando Vergot e la cosa mi ha riempito di gioia.

Cecilia Bozza Wolf è anche la videomaker ufficiale di Arte Sella ed ha un progetto. Mi piacerebbe raccontare il mondo del pittore Orlando Gasperini, valsuganotto che ha vissuto nella piccola frazione di Martincelli, morto nel 2008. La sua arte fa parte del nostro territorio e sarebbe bello riuscire a far emergere la sua visione ed il suo pensiero.













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