La storia

Quando sul lago di Garda c’era il maxi cotonificio

Viaggio a Campione del Garda, prima della trasformazione turistica, con il libro di Carlo Gaioni. Fu Feltrinelli nel 1896 a costruire la struttura, che comprendeva anche una chiesa e un teatro. E le lavoratrici arrivavano con la barca


Daniele Peretti


LAGO DI GARDA. Campione è un lembo di terra che si stacca dalla roccia e si affaccia sul lago di Garda, realizzando così uno dei luoghi gardesani più suggestivi.

Oggi alla pari di tutte le altre località ha subito la trasformazione turistica, ma decenni fa doveva essere di una bellezza davvero particolare. Come particolare è la sua storia.

Dobbiamo tornare indietro nel tempo e tornare al 1896 quando Giangiacomo Feltrinelli costruì un cotonificio con annesso villaggio operaio che comprendeva una chiesa, un teatro, un convitto ed uno spaccio e fu così che il paese di Campione si ripopolò.

Consideriamo che all’epoca non esisteva ancora la Gardesana Occidentale e la frazione era raggiungibile solo via lago.

La storia del cotonificio dura fino al 1981, in mezzo un passaggio di proprietà tra Giangiacomo Feltrinelli e Vittorio Olcese, quando chiuse a causa della crisi economica che colpì l’Italia e così per la frazione di Tremosine iniziò un progressivo degrado. Per sconfiggerlo si dovette dar vita ad un gigantesco progetto immobiliare che dal 2000 lo ha trasformato in uno dei centri fondamentali per l’economia del lago.

La storia del suo cotonificio che però è comune a tante altre persone che in un periodo economicamente molto difficile vi avevano trovato lavoro ha colpito Carlo Gaioni Scolaro che ha raccolto ricordi, testimonianze e foto in un libro “Campione del Garda. C’era una volta il cotonificio” edito da Susil Edizioni.

«Sono nato a Castelletto di Brenzone nel 1945, poi il lavoro mi ha portato lontano, ma sono sempre rimasto molto legato alla mia terra. Ho raccolto testimonianze e ricordi che spesso ho riportato nel periodico del Comune “Gremal”, tra queste sono arrivato a sapere che circa cento donne di Brenzone sono andate a lavorare al Cotonificio senza considerare chi lo raggiungeva esclusivamente in barca, da altri paesi come Torri del Benaco, San Zeno di Montagna, Cassone e Malcesine».

In una realtà povera, una vera fortuna: «Fin dall’inizio del Novecento, Campione del Garda, con il suo cotonificio, aveva mobilitato molta manodopera, soprattutto femminile, dalle zone dell’Alto Lago per arrivare fino a molti paesi del bresciano, del Trentino, della sponda veronese del Lago di Garda a cui si aggiungeva il reclutamento dai Comuni di Tignale e Tremosine».

E chi voleva lavorare dove imbarcarsi tutti i giorni: «Le persone di Brenzone che attraversavano il lago per questa attività (soprattutto ragazze di origine contadina) non lo facevano certo per sport, avventura o scoperta di cosa c’era al di là del lago, lo facevano per aiutare le loro famiglie e lo facevano con molta serietà, obbedienza e senso di responsabilità, una cosa davvero impensabile ai nostri giorni se si pensa alla loro giovane età».

Parlando con la gente, Carlo Gaioni si è accorto come il ricordo del Cotonificio sia ancora presente in molta gente.«Parlando con amici e paesani, ho visto un forte interessamento su questo argomento e quanto sia ancora viva e presente la memoria di questo spaccato di storia lacustre e soprattutto di quanto sia stampato in modo indelebile nel cuore e nella mente degli eredi il ricordo di queste donne e di questi uomini che nel cotonificio hanno lavorato.

L’ulteriore passaggio di raccogliere tutto il materiale raccolto in un libro è stato una conseguenza.

Ci tengo a precisare che sono un dilettante delle componenti che fanno diventare un libro perfetto (grammatica, elaborazione delle foto, grafica, impaginazione), per fare questo occorre l’intervento di professionisti che costa migliaia di euro.

Il mio è un lavoro fatto soprattutto con il cuore; ho voluto bene a Campione del Garda fin da bambino, allorquando con mia madre rendevamo visita alle molte paesane che qui lavoravano, alcune delle quali nostre parenti.

Concludo questa mia testimonianza con un forte ringraziamento a tutte le persone che hanno donato le loro memorie, e nutro la speranza che le ferite inferte al paese con iniziative avventate nel campo dell’edilizia possano essere sanate per il bene di questa comunità».













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