siccità

Crisi idrica, scatta l'allarme per il lago di Garda

Non è escluso che si debba attingere alle acque del lago, i timori per la stagione turistica. L’assessore Gavazzoni: «Importante agire su rinaturalizzazione e depurazione»


Daniele Peretti


GARDA. Lo stato di crisi idrica dichiarata in Veneto con un’ordinanza firmata dal governatore Zaia potrebbe avere delle pesanti ripercussioni anche sul Lago di Garda. Come potrebbero influire anche i provvedimenti che potrebbe adottare il tavolo tecnico di coordinamento composto dall’Autorità Distrettuale, la Regione Veneto e le Province di Trento e Bolzano.

Il termometro della situazione è sempre stato il fiume Po che ormai da tempo è costantemente al di sotto della media di portata idrica stagionale. Il Lago di Garda – il dato è fornito dall’Edificio Regolatore - attualmente si trova ad un +92 centimetri sopra lo zero idrometrico con una derivazione di soli 30 metri cubi al secondo in uscita.

Il dato non sarebbe di per se stesso preoccupante se non dipendesse direttamente dal fatto che sono pochi gli emissari del lago il cui apporto idrico dipende sia dagli eventi atmosferici, ma anche dalle necessità di prelievo per soddisfare i bisogni agricoli.

Fattore che incide in modo particolare per l’area della Pianura Padana: ad aprile dal tra il 10 ed il 17 il livello del lago proprio per questo motivo è calato di 10 centimetri solo in una settimana per una derivazione totale di 37 .000.000 metri cubi pari ad un calo giornaliero di un centimetro.

“Tutto questo è successo con 55 metri cubi in uscita – spiega Filippo Gavazzoni, assessore comunale a Peschiera e vicepresidente comunità del Garda – quindi ritengo che vi sia una situazione preoccupante a medio termine anche per il Lago di Garda, su cui ricordo gravita un indotto turistico enorme, che vede in questo 2022 grandi aspettative di ripresa ed un comparto agricolo mantovano che resta tra i più importanti in Italia. La gestione idrica gardesana, grazie al lavoro in concerto tra AIPO, Consorzio del Mincio e Comunità del Garda ci ha abituato negli ultimi anni ad essere un'eccezione in positivo rispetto al panorama nazionale. Sono sicuro quindi che riusciremo a concludere la stagione turistica ed irrigua esaudendo le necessità di tutti, garantendo quindi gli usi plurimi che il Lago di Garda ha praticamente sempre assicurato in ogni situazione. Serve però consapevolezza rispetto alla certezza che gli studi Eulakes hanno identificato, insiste Gavazzoni: questi scenari saranno sempre più frequenti, l'acqua sarà sempre più da considerarsi risorsa e il suo uso e consumo dovrà essere sempre più soggetto al risparmio”.

Il contesto non è di certo rassicurante se consideriamo che la portata del fiume Adige è calata 24%, quella del Brenta del 43 e quella del Bacchiglione del 56%. Per quanto riguarda la neve che interessa la quota idrica col disgelo, secondo i dati diffusi dal Snow Water Equivalent, raggiunge la punta negativa del -80%. Il rischio è che ci si possa trovare costretti ad attingere alle acque del Garda per compensare il deficit idrico di varie origini. Certo situazioni di necessità, ma che potrebbero mettere in crisi il livello dell’acqua del Lago di Garda che è anche patrimonio economico-turistico ed una diminuzione metterebbe in crisi tutto il settore turistico.

“E’ in quest’ottica – osserva l’assessore - che habitat e depurazione andrebbero ad assumere un ruolo fondamentale. Un habitat naturale è in grado, quando funzionale a se stesso, di attivare processi di fitodepurazione importantissimi, mentre i depuratori, che devono essere una risposta ma non la sola al problema della qualità dei corpi idrici, devono poter godere di investimenti importanti e strategici. La presenza di canneto, di macrofite di varia natura, dell’ittiofauna, di litorali e sponde in grado di assicurare all’acqua un ricircolo idoneo all’attivazione della fitodepurazione sono tutti fattori in stretta relazione con i copri idrici. Anche eventuali piccoli corsi d’acqua, come fossati o canaline, sono importanti: quando cementificati o intombati, infatti, non riescono certo ad esprimere la possibilità di crescita ad una vegetazione in grado poi di contribuire a fitodepurare l’acqua. Quindi la continua ricerca nel recupero dell’ittiofauna, dell’habitat, della rinaturalizzazione dei corsi d’acqua, come delle coste e litorali, parallelamente alla volontà di nuove opere, dovranno essere valutate quanto prima, come un’unica cosa attraverso un’ampia visione strategica, neanche troppo a lungo termine direi. I dati e le evidenze odierne ci dicono già a cosa stiamo andando incontro, mentre i dati scientifici, bene o male, ci confermano proprio tale direzione. Non bisogna pensare che gli studi sui cambiamenti climatici non siano affar nostro perché magari “proiettati” su ampia scala”.













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