il caso

“Stazioni segrete” della polizia cinese in Italia: una a Bolzano

Più di 100 in 53 Paesi. La ong Safeguard Defenders: «Servono a sorvegliare i dissidenti». Ma Pechino smentisce: «Aiutano i connazionali con la burocrazia»


Antonio Fatiguso


ROMA. L'Italia ospita il maggior numero delle cosiddette 'stazioni di polizia' cinesi non ufficiali costituite all'estero, nell'ambito di una rete di oltre 100 unità emersa in almeno 53 Paesi sparsi nel mondo, allo scopo di sorvegliare i connazionali all'estero.

Nell'ultimo aggiornamento, diffuso oggi 5 dicembre, figurano altre 48 stazioni, un centinaio quindi in totale, sparse in tutto il mondo, compresi Paesi europei come Italia, Francia, Olanda, Spagna, Croazia, Serbia e Romania.

Undici  i centri individuati in Italia: a Roma, Milano, Bolzano, Venezia, Firenze, Prato, dove vive la comunità cinese più numerosa, e in Sicilia.

Safeguard Defenders, una ong basata a Madrid, ne ha stimate 11, con la prima allestita a Milano dall'agenzia di pubblica sicurezza di Wenzhou a maggio del 2016. Due anni più tardi, nel 2018, grazie al rafforzamento dell'accordo definito sui pattugliamenti congiunti nelle città italiane e cinesi al servizio dei propri connazionali in viaggio, la pubblica sicurezza di Qingtian istituì anche un ufficio pilota a Milano, parte - secondo la ong - di una strategia finalizzata a monitorare la popolazione cinese all'estero. Nella prima ricerca sul controverso tema presentato a settembre, Safeguard Defenders aveva riferito che esistevano 54 stazioni di questo tipo nel mondo, provocando indagini in almeno 12 Paesi tra cui Canada (che dopo un ciclo di accertamenti ha ordinato la loro chiusura), Germania e Paesi Bassi. 

Sulle attività di pattugliamento, Safeguard Defenders ha trovato prove di un sistema di videosorveglianza in aree residenziali, "ufficialmente per scoraggiare crimini". Sul punto, tuttavia, indagini locali "su una delle stazioni non avevano portato alla luce alcuna attività illegale".

L'Italia, che ospita 330.000 cittadini del Dragone, secondo i dati Istat del 2021, viene indicata come un terreno fertile per la potenziale influenza di Pechino grazie ai numerosi accordi tra i due Paesi, di cui quello sui pattugliamenti congiunti è tra i più interessati dalla vicenda. Pechino, tuttavia, ha affermato che gli uffici sono soltanto 'stazioni di servizio' per assistere i propri connazionali nelle procedure burocratiche, tra cui il rinnovo di passaporto o patente di guida, resisi ancora più utili durante le fasi più critiche della pandemia Covid.

L'indagine della ong si è basata su dichiarazioni e dati cinesi pubblici e si è limitata a prendere in considerazione i centri istituiti dalle autorità di pubblica sicurezza locali nei Paesi in cui esiste una numerosa comunità cinese. Il gruppo per i diritti civili spagnolo, inoltre, ha sostenuto che le stazioni non ufficiali sono usate da Pechino per "molestare, minacciare, intimidire e costringere le persone a tornare in Cina", avendo accumulato prove di intimidazione in contrasto con il canale ufficiale dell'estradizione. "Monitoriamo i dati cinesi e ad aprile abbiamo ricevuto informazioni dal ministero della pubblica informazione che hanno mostrato che 210.000 persone sono state persuase a rientrare in un solo anno", ha commentato Laura Harth, direttrice della campagna di Safeguard Defenders. Alcune delle persone costrette a rientrare erano tra gli obiettivi dell'operazione Fox Hunt, una grande campagna fortemente voluta dal presidente Xi Jinping, apparentemente per perseguire funzionari corrotti che erano fuggiti all'estero. 













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