giovani agricoltori

Stefano Anselmi: «Contadino? Meglio che in fabbrica»

Per 23 anni è stato operaio, poi la scelta dei campi: «Nel biologico non ci credo, non è che loro non fanno trattamenti»


Carlo Bridi


BREZ (NOVELLA). «Il lavoro in fabbrica dove entri al mattino ed esci dopo 8 ore? È un carcere in rapporto al lavoro del frutticoltore». Ad affermarlo è una persona che dopo 23 anni di lavoro in fabbrica per dare continuità all’azienda famigliare condotta dal papà ha deciso di licenziarsi e di dedicarsi a tempo pieno all’attività agricola. Parliamo di Stefano Anselmi che da marzo del 2022 ha preso in mano come titolare l’azienda di famiglia ed è diventato titolare al compimento dei 75 anni da parte di papà Giovanni.

«Eravamo di fronte ad una alternativa secca: o io prendevo in mano l’azienda oppure mio padre avrebbe dovuto affittarla. Di qui la scelta di licenziarmi dal posto di lavoro fisso dove avevo cominciato appena terminate le scuole professionali di meccanico tornitore all’Enaip di Cles. Certo, mi mancavano diverse competenze per fare l’imprenditore agricolo di qui l’idea di frequentare il corso per giovani imprenditori delle 600 ore organizzato dalla FEM». Un corso, precisa subito Anselmi, interessante specialmente per le ore di lezione sulla burocrazia e sugli aspetti amministrativi che comportano la gestione di un’azienda, ma anche per quanto riguarda la parte delle tecniche di difesa per praticare correttamente il metodo dell’agricoltura integrata. Stefano ha fatto domanda per l’ottenimento del premio d’insediamento avendo completato con profitto il primo anno del corso FEM, ma non ha fatto la domanda per ottenere l’anticipo dei 30000 euro perché comportava l’onere della fideiussione, preferisce completare il corso e quindi chiedere la liquidazione.

«La nuova trattrice più sicura - afferma - l’ho potuta comperare con i risparmi di tanti anni trascorsi in fabbrica». Da marzo del 2022 è titolare dell’azienda all’interno della quale non ci sono dei collaboratori. Una mano in azienda la danno ancora i genitori.

La sua è una bella azienda frutticola per essere in Valle di Non, in quanto ha una superficie complessiva di 5 ettari suddivisa in 11-12 appezzamenti, quindi anche di una superficie assai consistente. È tutta coltivata a mele e, in ordine decrescente, le varietà presenti sono: la Golden Delicious, il gruppo delle rosse, le Renetta Canada e la varietà Club suggerita da Melinda la Kizuki – Morgan. L’azienda è coperta per il 40% con reti antigrandine, ma per la prossima campagna punta a raggiungere almeno il 50% dell’area.

La produzione quest’anno, almeno fino ad ora, è molto bella: la grandine è arrivata, ma neppure molto forte, solo su una piccola parte dell’azienda, ma ovviamente Anselmi è coperto dall’assicurazione. «La qualità si presenta ottima, mentre la quantità è scarsa perché abbiamo avuto danni dalle gelate primaverili anche perché i frutteti sono mediamente sopra gli 800 metri di altitudine».

Fra i progetti futuri oltre all’ampliamento dei frutteti coperti con rete antigrandine, Stefano vede il costante rinnovo degli impianti per essere sempre in sintonia con le indicazioni di Melinda che punta sulle varietà Club al fine di avere delle fasce di mercato dove la concorrenza non è spietata.

Alla domanda se a 40 anni ci sono ancora sogni nel cassetto, Anselmi dopo un attimo di imbarazzo risponde che sogni ce ne sono sempre, ma che lui crede di avere realizzato il suo sogno più bello quello di essere titolare di una bella azienda frutticola nel cuore della Valle di Non. Ha mai avuto dubbi sulla bontà della scelta chiediamo a Stefano: «Assolutamente no, con il lavoro nei campi mi sento rinato: non tornerei indietro per nessuna cosa al mondo pur con tutti i pensieri che sono intrinsechi alla gestione di un’azienda frutticola».

Ed il suo rapporto con l’ambiente com’è? «Sono profondamente convinto che tutti ci dobbiamo impegnare per una coltivazione il meno impattante possibile, per questo ho scelto convintamente di aderire al progetto di produzione integrata».

Alla domanda se ha mai pensato a trasformare l’azienda in biologica, dimostra d’essere piuttosto scettico: «Non ci credo che possa essere questo il migliore modo con il quale rendere la frutticoltura più sostenibile dal punto di vista ambientale, almeno per come è praticata in valle; poi c’è un problema di costi, perché non è vero che i biologici non trattano, anzi devono trattare più di noi con rame e polisolfuro anche se non sono prodotti chimici di sintesi».

Poi c’è la sostenibilità economica, il problema produttivo (problema questo già sollevato da altri giovani) della scarsa produttività dei meleti biologici. «Vige anche in questo caso la vecchia regola: con niente non si ottiene niente» commenta Stefano.

«Tutta la produzione viene conferita alla SAB di Brez aderente a Melinda e dobbiamo riconoscere che la nostra Op è brava nel valorizzare le nostre mele anche se c’è sempre qualcosa da migliorare». E gli amici della fabbrica dove lavorava cosa dicono della scelta? «C’è chi dice “potessi farlo anch’io”, chi dice che sono stato pazzo, ma a me va bene così».

In passato Anselmi era impegnato sia nel gruppo alpini che nella Pro Loco ma ora ormai manca il tempo; in prospettiva si vedrà. È uno sportivo perché d’estate va in bici e l’inverno scia.

 













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