agricoltura

Un nuovo modello di frutticoltura sostenibile

Nel convegno digitale organizzato da Apot numerosi gli spunti per andare nella direzione della nuova politica agricola dell’Unione Europea



TRENTO. Il modello di frutticoltura sostenibile realizzato da APOT, e presentato al convegno in formula Digital Talk – con oltre 200 operatori del settore collegati, stamattina è un modello in perfetta linea con la nuova politica agricola dell’Unione europea, un modello da esportazione. E’ questo quanto è emerso dall’approfondito confronto fra  APOT, ed esperti di caratura internazionale. Particolarmente soddisfatti i vertici di APOT, il presidente Ennio Magnani ed il direttore Alessandro Dalpiaz, organizzatori dell’incontro. L’obiettivo che si erano posti sei anni fa di comunicare con grande trasparenza le linee strategiche per produrre nel pieno rispetto dell’ambiente oltre che della salute del produttore e del consumatore, si sono dimostrate valide per un modello di sviluppo sostenibile sia dal punto di vista ambientale, che sociale ma anche economica, ha affermato Magnani.

Il tema di quest’anno era: “Economia e paesaggio, da contrapposizione a simbiosi”. Relatore d’eccezione sul rapporto frutticoltura ambiente il grande architetto e urbanista Stefano Boeri. Egli ha fatto emergere il ruolo della frutticoltura a tutela del territorio e del paesaggio, ed ha affermato come “negli ultimi anni si sia aperta una nuova prospettiva nel rapporto fra natura ed esseri viventi. Città, natura, agricoltura, fanno parte di un modello di sviluppo equilibrato”. Ma non solo la pandemia ci ha fatti riflettere sul nostro rapporto con l’ambiente e ci ha fatto capire che deve essere ripensato il nostro rapporto con le aree interne. In quest’ottica va visto anche il ruolo delle seconde case e dello smart working. Egli ha invitato a pensare ad una frutticoltura antropica andando ad umanizzare le città. “più alberi e meno citta° il suo motto.

Interessanti i dati resi noti dal direttore di APOT, Alessandro Dalpiaz, che ha ricordato come la frutticoltura trentina sia fatta su ben 30.000 appezzamenti, divisi in oltre 7600 aziende di una media di 1,6 ettari. “Il nostro impegno, ha sottolineato il direttore, ci ha portati a ridurre l’impronta carbonica da 220 Wh di CO2 per kg di mele, A 150. Un contributo forte viene dalle celle ipogee, che permettono un risparmio energetico del 30%.

Dati in perfetta linea con gli indirizzi della nuova PAC, sono arrivati sul fronte del biologico che è più che raddoppiato in 4 anni, passando dai 500 ettari del 2016 ai 1100 del 2019, così pure sulle varietà resistenti vicino alle zone sensibili, che nel 2022 raggiungeranno i 200 ettari.

Del bilancio di sostenibilità si è occupato Roberto Della Casa che ha affermato come: “la frutticoltura trentina stia proseguendo nel processo di sviluppo in ottica di sostenibilità, processo sistematizzato a partire dal 2016 all’interno del Progetto Trentino Frutticolo Sostenibile”. Ma molto importante è anche l’indotto diretto pari ad oltre metà di quello generato dalla commercializzazione del prodotto coinvolgendo 500 imprese del territorio, inoltre negli ambiti d’elezione della coltura, come la le valli del Noce l’indotto indiretto ha coinvolto oltre 2000 addetti.

Herbert Dorfmann correlatore al Parlamento europeo per la strategia Farm to Fork, ha ricordato come il il paesaggio sia espressione del territorio ed è un valore sempre più richiesto dai consumatori. Egli ha quindi sottolineato il ruolo della ricerca nel favorire l’ottenimento di nuovi prodotti fitosanitari e piante sempre più resistenti per favorire la sostenibilità sollecitata dalla strategia Farm to Fork.

L’A.d. di Global GAP ha affermato di apprezzare l’iniziativa dei distretti biologici in Val di Non mentre Celine Keidel della direzione generale Agricoltura della Commissione europea, ha ricordato che con l’adozione della strategia Farm to Fork c’è molto lavoro davanti e il Trentino frutticolo è sulla strada giusta.

Secondo Stefano Vaccari direttore generale del CREA, il Trentino è uno dei territori più attenti alla sostenibilità a livello europeo, in quanto siamo in presenza di agricoltori sempre più evoluti segno di un forte cambiamento colturale e di conseguenza economica. 













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