Porfido, mille lavoratori sono sul piede di guerra 

La protesta per il contratto. Ieri due ore di sciopero dopo un’assemblea ad Albiano I sindacati: «Non è solo una questione economica. Vogliono cancellare i tempi indeterminati»


Daniele Erler


Trento. Dal 31 marzo il contratto nazionale per i lavoratori del porfido è scaduto. Dopo l’assemblea di ieri ad Albiano, c’è stato uno sciopero di due ore, con una percentuale di adesione dell’80 per cento circa. È la prima tappa della mobilitazione, sia locale sia nazionale. «Siamo solo all’inizio. Ci saranno altri momenti di lotta, anche in Trentino», promettono i sindacati (Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil). La trattativa con i datori di lavoro si è arenata. Non è solo una questione economica, o un ballo di cifre per l’aumento dei minimi salariali: 103 euro la proposta dei sindacati, 53 quella della controparte. I lavoratori chiedono più garanzie per sicurezza e legalità. E soprattutto un freno al loro incubo peggiore: la condanna senza appello alla precarietà.

Rischio precarietà

La questione è nazionale e il contratto si riferisce all’intero settore dei lapidei. Per il porfido interessa il Trentino in maniera molto concreta, per poco meno di mille addetti, 700 dei quali sono impiegati nelle cave. In provincia, l’età media dei lavoratori è molto alta, sfiora i 55 anni. Considerando che si tratta di un lavoro usurante, nei prossimi anni molti di loro andranno in pensione. Il rischio è che i giovani cavatori non avranno più un contratto a tempo indeterminato, ma saranno assunti col criterio della stagionalità: «È quello che sta succedendo nelle cave del Trentino: si sta tornando ad assumere a febbraio per poi licenziare a fine novembre», spiega Moreno Marighetti, segretario della Fillea, la federazione specializzata nel settore estrattivo della Cgil. I cavatori sono condannati a un futuro di precarietà senza limiti? «L’àncora di salvezza è proprio il contratto nazionale: perché altrimenti ogni cosa sarebbe alla mercé dei datori di lavoro», spiega Sandra Ferrari, anche lei della Fillea. Non basterebbero le battaglie fatte negli anni scorsi per il contratto integrativo provinciale.

Sicurezza e legalità

Il settore dei lapidei sta vivendo da anni una forte crisi: a livello globale, l’Italia aveva in passato una quota dell’export pari al 7 per cento, ora è al 3,9. «Eppure si è compensato il venir meno della quantità con un aumento della qualità – spiega Gianni Fiorucci della segreteria nazionale della Fillea –. Il valore del prodotto venduto è aumentato in media di un dollaro a metro quadro». Ma sono stati pochi gli investimenti sulla sicurezza dei lavoratori, in un settore a forte rischio di infortuni e malattie professionali, come spiega Fabrizio Bignotti della Cisl. Nelle cave, i lavoratori che si offrono per diventare rappresentanti alla sicurezza sono pochi, perché rischiano ritorsioni dai loro datori di lavoro. Per questo i sindacati vorrebbero, da contratto, un rappresentante della sicurezza che sia territoriale. E poi c’è la questione della legalità: il rischio del lavoro in nero, ma anche delle possibili infiltrazioni mafiose. I sindacati chiedono l’istituzione di un tavolo permanente su questi temi, come avviene già, per esempio, nel settore dell’edilizia.

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