L’Europa dopo il voto: verdi e liberali hanno fermato l’avanzata dei populisti 

L’analisi. Gli esperti si sono confrontati sull’Unione uscita dalle urne. Non sarà poi così diversa da quella che abbiamo conosciuto fino ad oggi Ma secondo il professor Pipsani-Ferry c’è una novità importante: «Per la prima volta le elezioni europee sono state percepite come importanti»


Fabio Peterlongo


Trento. La "nuova Europa" emersa dalle urne non sarà così diversa da quella che abbiamo conosciuto perché nonostante la crescita dei "populisti" e il crollo di socialisti e popolari, i "nuovi europeisti" verdi e liberali hanno "bilanciato" questa perdita di fiducia.

Questo è emerso durante la conferenza "Il voto europeo, le conseguenze economiche e politiche" tenutosi ieri alle 19 in sala Depero presso il palazzo della Provincia e moderato dal giornalista del Corriere della Sera Federico Fubini. Nando Pagnoncelli, noto sondaggista e presidente di Ipsos italia, ha precisato come il "sentimento antieuropeo" che è sembrato dominante vada ridimensionato: «Dopo il crollo dei consensi verso l'Ue successivo al "caso Grecia" e alle "cure" della Troika la fiducia verso le istituzioni europee è tornata a crescere, come mostrano le ricerche di Eurobarometro». Pagnoncelli ha fatto notare come pur essendo gli italiani tra i popoli più "euroscettici" del continente, chiedono al contempo "più Europa": «Gli italiani collegano l'Ue a fenomeni negativi come la disoccupazione. Ma allo stesso tempo chiedono più condivisione delle politiche sull'immigrazione e di difesa comune e ritengono come l'Italia sarebbe più povera e isolata fuori dall'Europa. Solo un italiano su 4 quattro dice favorevole al ritorno alla lira».

Jean Pisani-Ferry, docente alla Hertie School of Governance di Berlino, ha sottolineato la crescita della partecipazione al voto: «Per la prima volta le elezioni europee sono state percepite come elezioni importanti. Alcuni hanno votato contro i cambiamenti climatici, altri contro l'immigrazione, ma tantissimi hanno partecipato». Pisani-Ferry ha sottolineato che difficilmente il risultato uscito dalle urne potrà "rivoluzionare" le politiche della Ue: «La crisi dei popolari e socialisti è tale che dovrebbe causare un cambio negli orientamenti politici, aprendo una coalizione con verdi e liberali. Ma il vero grande problema è che non è il parlamento europeo a decidere, ma principalmente la Commissione. Il rischio è che non cambi niente in termini di politiche economiche e monetarie».

Cas Mudde, docente di Affari internazionali alla Università della Georgia, ha messo in evidenza la frammentazione del campo europeista di fronte alla crescita degli euroscettici: «Si passa da due partiti dominanti, popolari e socialisti, a una probabile coalizione con forze nuove come verdi e liberali. Ed è innegabile la crescita degli euroscettici, passati dal 10% di dieci anni fa ad essere da un passo dalla maggioranza. C'è scetticismo verso il "destino comune" europeo».

Nadia Urbinati, docente di Teoria politica alla Columbia University, non ne condivide l'analisi, decretando la Brexit come l'evento che ha causato la fine dell'antieuropeismo tout-court: «Non credo che ci sia un sentimento antieuropeo, ma si vuole stare in Europa sulla base dell'interesse nazionale. Non è più l'Europa il problema e si preme per un'associazione più snella di stati volontari. Dopo il disastro Brexit nessuno è più antieuropeo tout-court, si critica l'Europa, con le sue lettere e le sue ingerenze ma la si accetta».

Elisa Ferreira, vicepresidente della Banca del Portogallo, ha riassunto l'esperienza portoghese, in cui governa una coalizione tra socialisti e sinistra radicale: «Le politiche della Troika sul Portogallo hanno avuto effetti disastrosi, con tantissimi portoghesi altamente qualificati costretti a emigrare. Ma il governo socialista - ha aggiunto in conclusione Ferreira - è riuscito a bilanciare le richieste europee con l'equilibrio sociale, tassando i ricchi e garantendo il welfare. Così gli emigrati hanno cominciato a tornare in Portogallo».

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