«Sogno un Festival aperto e plurale, diversità è ricchezza» 

Trento Film Festival . Arriva Martine De Biasi, nata a Rovereto e cresciuta in Alto Adige  È lei la new entry nel direttivo della grande kermesse cinematografica trentina Rappresenterà Bolzano. «Sono felicissima di questa nomina, è stata una sorpresa assoluta»


Daniela Mimmi


Trento. Italiana e tedesca, altoatesina e trentina, (il tutto contemporaneamente), autrice del pluripremiato “Becoming me”, candidata alle elezioni europee del 2019 per La Sinistra. La regista Martine De Biasi sarà il nome altoatesino nel nuovo direttivo, eletto il 29 dicembre, che darà vista alla 69. edizione del Trento Film Festival, in programma dal 30 aprile al 9 maggio prossimi. Nella scorsa edizione del Bolzano Film Festival, il suo “Becoming Me” è stato premiato come miglior documentario e ha inoltre vinto il “Premio del pubblico Città di Bolzano”. Il documentario riprende la transizione della sua prima fidanzata Marion in Marian, da donna a uomo, il cambiamento, prima emotivo/psicologico e infine fisico, dai primi timorosi pensieri, al percorso, anche profondamente psicologico, che porta al cambio di sesso. Il tutto nella piccola realtà di un paesino altoatesino dove ancora si fa fatica ad accettare “l’altro”. L’abbiamo intervistata.

Martine, per cominciare ci parli di lei.

Sono nata a Rovereto, ma sono sempre vissuta a Bolzano. I miei genitori, lungimiranti, mi hanno iscritto da subito a una scuola di lingua tedesca, quindi sono perfettamente bilingue. Cosa che mi ha aiutato molto, nel lavoro e nella vita. Mi sento sia italiana, che tedesca. Solo in Alto Adige c’è questa ossessione dell’etnia. Spesso mi chiedono: tu cosa ti senti? Io rispondo: tutti e due. Per anni ho lavorato in Rai, al montaggio, poi sono passata dietro alla macchina da ripresa. Per fare “Becoming me” ci ho messo 9 anni. Ho seguito passo passo la trasformazione della mia ragazza in uomo.

Secondo lei perché l’hanno scelta a far parte della giuria del Trento Film Festival? Che cosa ha a che fare lei con la montagna?

Non so perché mi abbiano scelta. Mi è arrivata a casa una lettera con la nomina e io ne sono molto orgogliosa. Mi piace l’idea di vedere tanti film e vederli da una prospettiva diversa. Inoltre intorno al Film Festival ci sono tante iniziative molto interessanti sul territorio. La montagna fa parte di me, come di tutti noi altoatesini e trentini. Io non sono una sportiva estrema, non faccio sci alpinismo e non arrampico. Ma mi piace molto camminare in montagna, trovarmi a contatto con la natura. Da quando ho la macchina, ovvero un paio di anni, posso spostarmi più facilmente. So che sembra un controsenso usare la macchina per andare in montagna, ma se no mi restano solo le passeggiate sotto casa!

Quale sarà il suo contributo al Trento Film Festival?

Ancora non so, perché la prima riunione sarà a fine mese. Mi lascio sorprendere. Ma posso dirle qual è il Festival dei miei sogni: un festival in cui i film vengono scelti per le loro qualità e non perché il regista è amico di qualcuno o raccomandato. E poi mi piacciono i festival sfaccettati e variegati, in cui vengono presentati film uno diverso dall’altro, con background diversi. I festival cinematografici sono eventi culturali molto importanti e sono una ricchezza. Per me la diversità è ricchezza.

Lei come mai ha scelto il genere documentario?

Il mio è un documentario d’essai. E’ la forma che mi è più consona per raccontare la mia vita e le mie esperienze, per descrivere la realtà con la mia verità. Ecco, mi piace raccontare storie vere.

Ci racconta la sua esperienza in politica?

È durata solo 3 settimane, si sapeva chi avrebbe vinto, ma è stato molto interessante.

Che Europa le sarebbe piaciuto costruire?

Un’Europa in cui non ci sono distinzioni tra le persone e tra uomini e donne. Io sono favorevole alle quote rosa perché il cinema, in Europa, è in mano agli uomini. Nelle scuole di cinema c’è lo stesso numero di studenti e studentesse, ma quelli che poi riescono a fare i registi sono per la maggioranza uomini. Sono quelli a cui vanno gli aiuti, i finanziamenti pubblici.

E dopo “Becoming me”? È pensante come fardello?

No, ma mi prendo i miei tempi, come sempre. Per fare “Becoming you” ci ho messo 9 anni. E’ stato un processo molto lungo, anche perché inizialmente non avevamo finanziamenti. Poi è arrivato quello della Idm, e siamo riusciti a portare a termine il progetto. Ho comunque già in mente la traccia del mio prossimo film: avrà a che fare con la memoria, la famiglia, l’identità e come sempre con l’Alto Adige. Intanto stiamo registrando dei podcast che andranno online da febbraio e che si intitolano “Film in the Alps”. Si tratta di una serie di interviste a tutte le persone che girano film nelle Alpi. E intanto continuo a lavorare al mio prossimo documentario che forse vedrete tra una decina di anni…















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