Quando il rischio alluvionale è “spiegato” alla popolazione

Trento. Avete paura delle alluvioni? Credete di saperne abbastanza? Se dite di no ma anche se poi dite di sì, forse è bene che leggiate il seguito. Life Franca è un progetto pilota europeo molto...


Maddalena Di Tolla Deflorian


Trento. Avete paura delle alluvioni? Credete di saperne abbastanza? Se dite di no ma anche se poi dite di sì, forse è bene che leggiate il seguito. Life Franca è un progetto pilota europeo molto particolare, che si conclude a dicembre. Coinvolge vari partner trentini, come il Muse, il Servizio Bacini Montani della Provincia e l’Ateneo locale, al fianco di altri come l’ Autorità di Bacino Nazionale del Fiume Adige-Distretto Idrografico Alpi Orientali e UniPadova, accanto a Trilogis, azienda specializzata in sistemi GIS. Life Franca ha avuto inizio nel 2016. Il suo nome è l’acronimo del suo significato e oggetto, ovvero Anticipazione e comunicazione del rischio alluvionale nelle Alpi – in inglese Flood Risk Anticipation and Communication in the Alps. Life Franca promuove una cultura della prevenzione dei rischi ambientali nelle Alpi, per anticipare gli eventi calamitosi e migliorare la sicurezza del territorio e dei cittadini. Il rischio zero infatti non può essere garantito e il cambiamento di clima ed ecosistemi impone ragionare e prepararsi. In particolare il progetto ha lavorato per preparare la popolazione ad affrontare gli eventi alluvionali in Trentino, attraverso un processo partecipato fra cittadini, tecnici, insegnanti, studenti e amministrazioni.

Questa settimana si è svolto a Trento il convegno conclusivo del progetto, che termina a dicembre. I seminari hanno analizzato scenari di rischio e scenari economici legati al rischio.

Abbiamo chiesto al coordinatore, il professor Roberto Poli di UniTrento, di raccontarci l’aspetto culturale centrale dell’iniziativa. Poli ha una cattedra Unesco sui sistemi anticipanti ed è direttore del master in Previsione sociale all’Università degli Studi di Trento.

- Professor Poli, perché serve un futurologo per occuparsi di rischio alluvionale?

«Gli ingegneri sono venuti da noi in università dicendo: “Abbiamo buoni modelli però quando andiamo a parlare con la popolazione non riusciamo a farci capire: abbiamo bisogno di altre competenze per sviluppare una strategia di comunicazione e preparazione. Dunque abbiamo usato gli strumenti sviluppati negli anni in questo campo. Io sono un futurista, utilizzo metodi scientifici per cercare di prevedere gli scenari di futuro».

- Life Franca ha innanzitutto fatto una ricognizione e riorganizzazione dei dati esistenti. Poi, come avete strutturato il lavoro, rispetto al vasto territorio trentino?

«Abbiamo scelto tre territori con caratteristiche diverse: Trento, Borgo, Bocenago. Hanno tre esposizioni a rischi idraulici molto diverse. Avere ambiti differenti ci serviva per tarare il lavoro».

- Con chi avete lavorato per analizzare i possibili scenari di pericolo e di azione?

«Abbiamo lavorato confrontandoci con sindaci, autorità del posto, vigili del fuoco, con chi in quegli ambiti si occupa di alluvioni, aiutandoli a ragionare su come cambierà la popolazione di riferimento, ad esempio avremo presto una popolazione più anziana. Ci si chiede: quella popolazione sarà in grado di generare un volontariato come oggi? No. Dunque serve prepararsi, aver tempo per mettere in movimento strategie per affrontare una situazione diversa. Inoltre abbiamo organizzato 52 focus group con popolazione e tecnici, discutendo vari scenari, per abituarli a ragionare su strategie di lungo periodo. Abbiamo inoltre lavorato nelle scuole e offerto formazione specialistica per ingegneri, architetti, magistrati e avvocati, per giornalisti e anche per le compagnie assicurative. È importante lavorare in modo interdisciplinare su un tema come questo. Emergono punti di vista diversi, ad esempio tra giudici e avvocati: integrarli è necessario per lavorare in rete».

- Cosa emerge dal confronto con gli amministratori?

«L’aspetto più interessante è che questi strumenti innovativi e sconosciuti in Italia sono stati accettati, credo perché i sindaci e i decisori così come gli operatori hanno visto la loro concretezza, che li aiuta a disegnare strategie più efficaci.

- Si tratta di un progetto pilota, cosa resterà e come si proseguirà?

«Alla Provincia abbiamo “regalato”, lasciato in dote il portale web di progetto, dove l’ente pubblico e i cittadini posteranno informazioni ufficiali la prima e segnalazioni i secondi. Adesso stiamo tentando di ottenere un finanziamento per il cosiddetto Life Integrated, che potrebbe anche durare sei anni, per proseguire il lavoro su scala maggiore, e sondare ambiti anche culturalmente diversi dal Trentino».

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