L’INTERVISTA»MICHELE SARFATTI E LE LEGGI RAZZIALI

Michele Sarfatti ci dice due cose, molto importanti per tutti noi, qui: la prima è che a 80 anni dalla promulgazione delle leggi “sulla razza” del ’38, l’n Italia di allora fu più zelante dei nazisti...


di Paolo Campostrini


Michele Sarfatti ci dice due cose, molto importanti per tutti noi, qui: la prima è che a 80 anni dalla promulgazione delle leggi “sulla razza” del ’38, l’n Italia di allora fu più zelante dei nazisti nella discriminazione; la seconda è che italiani e austriaci (e, in sottordine, altoatesini e sudtirolesi) sono accumunati da un tentativo collettivo di autoassoluzione. E per questo molto più simili di quanto non credano nella costruzione della loro memoria. «Si è preferito, da un lato, convincersi di essere stati invasi (in Alto Adige dagli italiani, in Austria dai tedeschi, ndr) e dunque di essere stati, in fondo, solo “nazisti per etnia”; dall’ altra di essere stati costretti. Costretti dall’ alleanza con Hitler. E si è avuta così un’ identità debole. Per gli uni , gli austro-sudtirolesi, e per gli altri, noi italiani». Sarfatti è stato ieri a Bolzano, alla Lub. È uno dei massimi studiosi mondiali dell'ebraismo, docente di Storia contemporanea, a capo della Fondazione del centro di documentazione ebraico contemporaneo di Milano, autore di libri decisivi come “La Shoah in Italia”, “Gli ebrei nell’ Italia fascista” e tanti altri, pubblicati dai più importanti editori italiani e stranieri. Lo ha invitato il Centro Pace, che così, sotto la guida di Paolo Valente, ha iniziato la sua nuova vita (“A 80 anni dalle leggi razziali: fare memoria” il titolo del convegno). E accompagnando la parola di Sarfatti con le testimonianze e le domande dei ragazzi de “La Strada-Der Weg” di ritorno da un viaggio a Cracovia sui luoghi della memoria della Shoah. Lo abbiamo intervistato.

Professor Sarfatti, perchè abbiamo a lungo rimosso la nostra responsabilità a proposito di leggi razziali e, dunque, della stessa Shoah?

«Una delle ragioni è che non le si è mai lette mettendole a confronto con quelle tedesche».

E facendolo, invece?

«Si scoprirebbe che sono il frutto di una corsa a collocarsi sullo stesso livello discriminatorio dei nazisti e in alcuni casi a superarlo».

Ad esempio?

«Fu sancita un’ espulsione generalizzata degli ebrei stranieri. Una sanzione molto dura che poneva l’ Italia su un gradino addirittura superiore. E poi quando, nel settembre del 1938 appunto, il ministro Bottai espelle gli ebrei dalle scuole, ancora in quel periodo nella stessa Germania, vigeva una sorta di “numerus clausus” in cui non tutti i giovani ebrei dovevano abbandonare le loro classi. Alcuni furono cacciati più tardi che non nel Regno d’ Italia. Insomma, quelle leggi dimostrano una voglia di legiferare in senso discriminatorio molto spinta».

L’ allievo che vuol superare il maestro...

«È così in tanti casi».

E questa non conoscenza ha prodotto a lungo un “non sentirsi responsabili”?

«In Italia è successo questo. Naturalmente non per tutti. E non ovunque. Lo testimoniano le vicende di questi anni. Ma si è formata la sensazione di esserne in fondo fuori».

Certamente l’ Italia e gli italiani non furono mai al centro della terribile macchina tedesco-nazista...

«No, certo. Ma le leggi del ’38 ci dicono che eravamo ben consapevoli di quello che stavamo facendo».

In Alto Adige fascismo e nazismo sono stati spesso visti, anche per collocazione geografica e per vicende storiche, in un certo modo, quasi oleografico...

«Beh, andiamoci piano. Io non generalizzerei, in ogni caso. Sono sempre a favore delle differenze. Ma non quando queste stesse differenze diventano etnicismi. Cioè quando si forma un tipo di nazionalismo con venature di impronta razzista. Indubbiamente, qui in Alto Adige, dopo l’ 8 settembre del ’43, tanti sudtirolesi organizzarono una polizia locale che dette una grande mano ai tedeschi negli arresti di centinaia di ebrei altoatesini. Ma non rappresentano tutta la popolazione sudtirolese. Così come i fascisti italiani non sono tutti gli italiani».

Ma questo ha prodotto un difetto nell’ elaborazione della memoria, un buco nella storia?

«I Paesi che più di altri hanno fatto i conti con il loro passato, in Europa, sono la Germania e, in misura minore, la Francia. Rispetto al suo collaborazionismo. Italia e Austria meno...».

Italia e Austria in questo sono simili?

«Abbastanza. Gli italiani hanno preferito dirsi che sono stati costretti dall’ alleanza con Hitler a emanare quelle leggi, gli austriaci si sono assolti dicendosi di essere stati invasi. In realtà hanno aderito in massa. Ma così facendo hanno coperto la storia. È una semplificazione».

E che cosa produce?

«Lavandosi la coscienza nazionale, si è costruita una identità nazionale debole. L’ identità nasce dalla consapevolezza piena delle proprie vicende, negative e positive. La forza di elaborarle produce una forza identitaria nuova».

Come se ne esce?

«Con la conoscenza. Con la cultura e l’ informazione. Ecco, quello che io auspico è che dalla conoscenza della storia nasca la consapevolezza. Che significa anche dignità, rispetto degli altri. E coraggio nel guardare al proprio passato».

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