L’eccidio di Molina e Stramentizzo «Si poteva evitare?» 

Storia e memoria. In Val di Fiemme la guerra finì con due stragi. Era il 2 e 3 maggio del 1945 Il bilancio finale fu di 31 vittime e di 9 abitazioni civili date alle fiamme Il ruolo dei partigiani e le testimonianze del parroco Celestino Vinante e di don Lunelli


Alberto Folgheraiter


Trento. In val di Fiemme la guerra finì con due stragi. Accadde il 2 e 3 maggio 1945.

Il 29 aprile 1945, in una palazzina della Reggia di Caserta si era concordata la resa delle forze nazifasciste in Italia. Per la firma dell’armistizio fra angloamericani e tedeschi si erano dovute attendere le ore 14 del 2 maggio. Da quel momento fu reso operativo il “cessate il fuoco” su tutto il territorio italiano.

Proprio quel mercoledì, tre giovani (Amerigo Seber, Ciro Corradini, Vittorio Betta) furono uccisi dai tedeschi a Castello di Fiemme. Alle 18.30 del 2 maggio, “Radio Londra” aveva confermato l’armistizio. Finalmente, la guerra era, o si credeva, finita. Ascoltata la notizia, il parroco di Ziano di Fiemme, Modesto Lunelli da Calavino (1906-1996) aveva fatto suonare le campane. Verso le 19, alla periferia dell’abitato, alcuni partigiani, armi in pugno, avevano fermato e disarmato duecento soldati tedeschi provenienti da Predazzo. Erano diretti a Cavalese per consegnarsi agli angloamericani. Qualcuno riuscì a fuggire e a dare l’allarme. La reazione tedesca arrivò a tarda sera. Benché fosse maggio, era nevicato. Un’autoblindo, proveniente da Panchià, cominciò a sparare a raffica contro i partigiani che s’erano appostati sulla strada. Testimoniò don Lunelli: “I Tedeschi inferociti entrarono in paese, liberarono i commilitoni che erano stati fatti prigionieri dai partigiani e da alcuni di Ziano che si erano prestati a farne la guardia”.

Furono uccise 13 persone, ferite 14 e date alle fiamme 16 abitazioni. Furono presi in ostaggio il parroco, il sindaco, il maresciallo dei carabinieri e altri dieci. Uno degli ostaggi, Antonio Giacomuzzi, fu assassinato lungo la strada tra Ziano e Predazzo. Intanto, la sera del 2 maggio, dalla val Cadino erano scesi a Stramentizzo dieci partigiani. Dopo averli rifocillati, la popolazione li aveva invitati a tornare in montagna fino a quando i tedeschi non avessero lasciato la zona. Il parroco di Stramentizzo, Celestino Vinante da Tesero (1893-1973), aveva pregato i partigiani di “starsene fermi, per impedire maggiori mali”.

L’indomani, due di costoro si spostarono con una motocicletta fino a Miravalle di Capriana. In mattinata, un sergente delle SS di stanza a Predazzo era stato mandato a Trento con tre camion per recuperare e condurre a Predazzo, via Cembra, i commilitoni in ritirata dal fronte dell’Altissimo-Pasubio.

Un primo scontro a fuoco con i partigiani avvenne alle 13.30 del 3 maggio 1945. Furono uccisi due militari tedeschi e ferito mortalmente un capitano medico. La colonna di autocarri, sopraggiunta poco dopo, fu bloccata dai partigiani oltre Miravalle. I Tedeschi si arresero. Erano una cinquantina, non tutti delle SS, comandati da un tenente. I soldati furono disarmati e condotti nella segheria del barone Felix Longo von Liebenstein (1888-1961). La rappresaglia fu feroce: all’alba del 4 maggio un battaglione di SS, salito dalla val di Cembra, mise a ferro e fuoco Stramentizzo e Molina.

Il bilancio fu di 31 vittime (17 partigiani e 14 civili massacrati nelle loro abitazioni), 9 case date alle fiamme a Stramentizzo e 19 a Molina. I militari tedeschi ebbero 30 morti e 10 feriti.

Sono passati 75 anni. La guerra è un ricordo lontano, eppure le stragi naziste di Ziano, di Stramentizzo e di Molina, consumate in quei primi giorni di maggio del 1945, continuano a rodere come un dubbio mai chiarito: si potevano evitare?













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