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Incredibile al Buonconsiglio: Sat e Sosat cantano insieme

Giornata storica quella di ieri coi due cori per la prima volta uno accanto all’altro La festa della coralità alpina, al di là dell’ufficialità, riserva la sorpresa più bella


di Paolo Piffer


TRENTO. Dicono che, solitamente, sia il veleno a stare nella coda. Ma, questa volta, a chiudere il cerchio è stato il miele, quello forte, dai sapori di montagna. Teatro, la splendida loggia del Romanino del Buonconsiglio a Trento. Perché, dentro le stanze cariche di stucchi e affreschi di epoche passate, dalle memorie ancora vive che salgono da quella Fossa dove vennero giustiziati Battisti, Chiesa e Filzi, si è consumata quella che è, in qualche modo, una favola contemporanea.

Non in programma, ma i cui segnali si sono capiti in pochi istanti. E che questa favola, con il Trentino, con le sue radici, la sua storia nel magma indistinto che è ormai il mondo d’oggi, c’entra tanto, simbolicamente, e forse non solo. Non si era mai visto, neanche dopo la pace siglata tre anni fa e suggellata con un concerto sullo stesso palco nel 2014, ma uno dopo l’altro, a repertori distinti, che i cori della Sat e della Sosat cantassero insieme, i componenti mischiati uno all’altro.

Gli affreschi del Fogolino non avranno magari riconosciuto “La montanara”, “L’ultima alba”, “Viva la faccia nostra”, come potevano?, non erano certo tenuti a farlo né a saperlo, ma hanno dato ampia eco alla potenza da tenore di Roberto Garniga, direttore sosatino diretto dal satino Mauro Pedrotti, inerpicarsi sulle note di una delle più belle, e commoventi, canzoni di montagna, di un repertorio popolare vasto per quanto riarmonizzato, rimesso a nuovo nel tempo, in alcuni casi stravolto ma anche aggiornato.

Chi conosce un minimo di storia della coralità alpina trentina sa bene che novant’anni fa, nella sala grande del castello, era il 26 maggio 1926, esordiva in concerto il coro della Sosat presieduto da Nino Peterlongo, nato nell’alveo della Società degli alpinisti tridentini. Ed è storia, che quell’esperienza cresciuta dentro la sezione operaia della Sat, da lì a pochi anni avrebbe avuto vita difficile, scomunicata e commissariata dal fascismo, vista con sospetto, in qualche maniera non presentabile, troppo popolare, sinistrorsa. Tantoché la Sat, il suo coro fondato negli anni Venti dai fratelli Pedrotti e innervato da chi, con il Club Armonia, aveva imbracciato il mandolino, ne prese successivamente il posto, ritenuto più in linea con i tempi, diciamo così, per un fascismo che andava dritto filato verso le leggi razziali.

Dal secondo dopoguerra, Sat e Sosat (ricostituito il coro), pur rinnovate e toltesi le scorie del Ventennio, hanno vissuto per decenni da separati in casa, guardandosi in cagnesco, portando i canti della coralità in giro per il mondo, ma senza degnarsi di uno sguardo. Poi, il riavvicinamento, il comunicato congiunto del 2013, sottoscritto dai presidenti Claudio Pedrotti (Sat) e Andrea Zanotti (Sosat). «Una storia di lungo periodo – recitava quella nota – porta ad un riconoscimento reciproco; essa supera i contrasti ed apre ad un futuro nel quale, proprio nella difficoltà di resistere alle facili omologazioni globali che tendono a cancellare le diverse identità, abbiamo il dovere di continuare a testimoniare la tradizione dalla quale proveniamo».

Una tradizione che oggi è forte di 78 corali alpine e centinaia di coristi. Ieri, nel novantesimo dell’esordio sosatino al Buonconsiglio, data segnata come la nascita della coralità alpina, il fuori programma, dopo i discorsi ufficiali, passati per forza di cose in secondo piano. Prima, c’era stato l’annuncio dei prossimi concerti, all’auditorium del Centro S.Chiara del capoluogo. Il 12 novembre toccherà alla Sosat, il 20 dello stesso mese













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