Carmine Abate: «I miei reading in quarantena» 

Lo scrittore ai tempi del coronavirus. L’appuntamento quotidiano con i suoi lettori Tante microstorie combinate insieme che si dilatano con la musica di Cataldo Perri «È in momenti drammatici come questo che si rafforza il senso di comunità»


MARIA VIVEROS


Bolzano. Basta un click per aprire la porta di casa e raggiungere senza alcuna restrizione persone e luoghi più o meno lontani, per riprendere e portare avanti discorsi improvvisamente interrotti. È la Rete il deus-ex-machina del nostro presente che ci trasforma in internauti full time per evadere. Ce n’è per tutti i gusti. Un surrogato, certamente, ma utile quanto basta per alleviare il peso di un isolamento forzato. Internet, così, può anche diventare veicolo di emozioni, come quelle che lo scrittore Carmine Abate condivide con i suoi lettori. Calabrese, ma trentino d’adozione, da questa settimana propone ogni giorno alle ore 18, dalla sua pagina Facebook (si tratta di una pagina pubblica, per cui, per accedervi, non è necessario essere iscritti a questo social), “Reading in quarantena”, brevi appuntamenti per ascoltarlo nella lettura di brani tratti dai suoi romanzi. Tante micro-storie combinate insieme per costruirne una nuova che, volta per volta, si dilatano, sfumando, grazie alle parole e alla musica del cantautore calabrese Cataldo Perri, che su ogni romanzo di Abate ha composto una canzone. La Rete garantisce così una continuità per non spezzare la relazione che lo scrittore ha instaurato da anni con i suoi lettori, sia in Italia che all’estero, dal Giappone all’Argentina agli Stati Uniti, dove proprio in questi giorni viene pubblicata, dopo il successo de “Il ballo tondo”, la traduzione de “Il banchetto di nozze e altri sapori”.

Amato per la sua scrittura sincera e generosa, Abate ha conseguito numerosi premi, fra i quali ricordiamo, nel 2012, il Campiello con “La collina del vento” (Mondadori), opera che racchiude la sua poetica nell’intreccio di storia e memoria, attraverso le vicende di più generazioni di individui in lotta contro le avversità della vita, mossi sempre da un profondo senso di “humanitas”, quello stesso che lega ne “L’albero della fortuna” (Aboca), suo ultimo libro, il vecchio Nuni Argentì al piccolo Carminù.

Abbiamo chiesto a Carmine Abate di parlarci della sua iniziativa e di cosa possa la letteratura fare in momenti come questo che stiamo vivendo.

Qual è il filo conduttore che unisce le letture che ha selezionato per questa serie di reading?

La storia romanzata della mia famiglia, una storia di partenze e di ritorni che comincia con mio nonno Carmine, primo a lasciare la sua terra, per arrivare a pagine sull’infanzia, la mia, tratte dall’“Albero della fortuna”, storia di un bambino e di un vecchio che si raccontano sotto un fico, mentre osservano con occhi incantati la bellezza della vita. Seguono poi la partenza di mio padre e la mia in Germania, fino a quando sono arrivato in Trentino. La conclusione di questo racconto è tratta da “Vivere per addizione”: le partenze mi hanno insegnato che dobbiamo prendere il meglio dei tanti mondi in cui abbiamo vissuto e delle culture con cui siamo entrati in contatto senza mai considerarci degli sradicati. Solo così il percorso di chi emigra, che all’inizio è tortuoso e doloroso, può portare alla trasformazione della ferita in ricchezza.

Come cambia il suo ruolo da scrittore a narratore che entra nelle case di suoi lettori?

Non ho mai scritto solo per me, ma come se i miei potenziali lettori mi stessero ascoltando, ed è per questo che mi sento un narratore e mi piace leggere in pubblico alcuni brani dei miei libri. Faccio dei reading da sempre con il cantautore Cataldo Perri. Ma adesso tutto è diverso perché mentre leggo non ho di fronte i lettori, ma il semplice schermo di un computer o di uno smartphone. Per questo mi piacerebbe proporre durante le mie letture su Facebook la presenza di lettori, sia pur virtualmente, con immagini del pubblico tratte da precedenti reading. È in momenti drammatici come questi che può rafforzarsi il senso di comunità (non certo di nazionalismo, che invece divide, innalza muri, come ci insegna la storia). Una comunità per la quale, nel proprio piccolo, tutti possono fare qualcosa per preservarla e rafforzarla.

Cosa vorrebbe che fossero i suoi romanzi: evasione o chiave per conoscere il presente e noi stessi?

Evasione, proprio no. Per me è importante l’inclusione del lettore nella storia. “La collina del vento”, per esempio, è avvincente, ma non è un libro di evasione in quanto possiede una tensione narrativa che spinge ad andare avanti nella lettura e questo lo si ottiene soltanto con la qualità della scrittura, che viene prima della storia e la sorregge. Un romanzo che si limita a essere di evasione è un’occasione sprecata, perché alla fine non resta nulla né a chi ha scritto né a chi ha letto quel libro. Un libro dovrebbe, invece, lasciare un segno, far cambiare, anche se di poco, la propria visione delle cose e dell’esistenza. Credo più che mai nella letteratura “impegnata”, che faccia entrare nel mondo degli altri, permettendo al lettore di far vivere più intensamente la propria vita che, così, diventa una vita “per addizione”.

A quale dei suoi personaggi, lottatori contro le difficoltà della vita, chiederebbe di rivolgerci delle parole per affrontare il nostro nuovo quotidiano?

Molti di loro affrontano la vita di petto e non si arrendono mai, come tutti noi dovremmo fare davanti a questa emergenza sanitaria. Non dovremmo cedere all’egoismo ma pensare alla comunità, oltre che a noi stessi e alla nostra famiglia, come Giorgio Bellusci di “Tra due mari” o tutta la famiglia Arcuri de “La collina del vento” o, ancora, Andy Varipapa, il più grande bowler di tutti i tempi, protagonista de “La felicità dell’attesa”, che era del mio paese, o la somala Sahra nelle “Rughe del sorriso”. È generoso nel dare consigli anche il vecchio Nuni Argentì, quando si rivolge al piccolo Carminù, aiutandolo nel suo percorso di crescita.

Ci sono ancora nelle famiglie dei Nuni Argentì che raccontano a dei Carminù desiderosi di ascoltarli?

Non rinuncerò mai (e questa è una caratteristica che appartiene ai miei libri) all’esigenza di ascoltare e raccontare storie intergenerazionali, con la memoria collettiva e familiare che viene trasmessa, appunto, di generazione in generazione, per farci evitare gli errori fatti nel passato e seguire la strada giusta nel presente. Spesso i miei personaggi superano difficoltà e si attrezzano per affrontare i momenti difficili della vita. È questa la lezione dei vecchi e della loro memoria, di cui abbiamo bisogno per alimentare la nostra forza interiore, per imparare a non arrenderci e sperare in un futuro migliore. Oggi più che mai.













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