Da un cervello moriano il microscopio “svela tumori” 

La parabola di Giulia Zanini. Il diploma al Rosmini, poi la laurea a Trento e ora il Maryland dove studia come realizzare da zero un apparecchio che sappia distinguere le cellule maligne


MICHELE STINGHEN


Mori. Da Mori al Maryland, dove adesso, da ricercatrice, cerca di sviluppare dei microscopi capaci di vedere nell'infinitamente piccolo all'interno delle cellule, per arrivare a capire subito se sono "malate" (e quindi tumorali) o meno. È la storia di Giulia Zanini, classe 1989, che da quasi un anno è negli Stati Uniti, all'università del Maryland, come post-doc. E con già in tasca un premio prestigioso: quello per la migliore tesi di dottorato nei biosensori ottici e nella biofotonica, conseguito lo scorso novembre e assegnatole dalla Società Italiana di Ottica e Fotonica. La tesi, svolta al termine del dottorato compiuto all'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, non è che uno dei fiori all'occhiello della carriera della giovane fisica di Mori.

Primo passo a Trento

La sua storia parte dall'Università di Trento, dove si è iscritta a fisica al termine del liceo scientifico seguito a Rovereto. Nel biennio di specializzazione scelse il percorso biomedico. «È stato in quella fase - ci spiega Giulia Zanini - che mi sono avvicinata alla biofisica e quindi all'ottica. A quest'ultima in particolare sono arrivata con la tesi, sull'uso del microscopio con laser infrarosso e le tecniche di imaging per la diagnosi del tumore della pelle. Nel corso della tesi mi sono imbattuta nei lavori del professor Alberto Diaspro, che lavora all'istituto di Genova proprio sulla microscopia».

Vedere dentro le cellule

Di lì la decisione di proseguire nella città ligure gli studi, con un dottorato dove Giulia ha sviluppato e migliorato le ottiche dei microscopi "pump-probe". «Si tratta di tecniche di super-risoluzione, che aiutano a "vedere" all'interno delle cellule, nei dettagli più minimali. A Genova ho lavorato sul grafene, utilizzando questi speciali microscopi per capire i difetti del materiale». Durante il dottorato Giulia è stata in Giappone per alcuni mesi, dove ha potuto provare a costruire da zero un progetto di microscopio. Ma il grande salto è stato il passaggio in America.

«Non sono un cervello in fuga»

«Sì, ed è stata una coincidenza. Non è che mi senta un "cervello in fuga": in questi percorsi di ricerca è necessario (e spesso espressamente richiesto) fare tante esperienze, in luoghi diversi. Avevo fatto colloqui con istituti di Firenze, Milano, anche in azienda, ma ero poco convinta dagli argomenti. Giuliano Scarcelli, un docente italiano da anni nel Maryland, cercava qualcuno che sapesse sviluppare microscopi: era esattamente il mio settore, e dopo il colloquio mi è stata offerta la posizione in America». A marzo il dottorato, a maggio il volo nel Maryland, a poca distanza da Washington, dove vive accanto ad un enorme campus. «Lavoro molto, sviluppando da zero un microscopio che possa essere applicato nell'analisi dei tumori, e che sappia distinguere velocemente cellule benigne o maligne». E come ti trovi in America? «Molto bene. Il lavoro occupa gran parte della mia vita, ma l'ambiente è internazionale; a me piace tantissimo la musica e qui arrivano i più grandi artisti di tutto il mondo. Gli americani sono molto attivi, anche se sono "chiusi" e ci vuole tempo prima di farseli amici».













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