«Un polo biomedico in via al Desert» 

La proposta. In un convegno organizzato dall’Upt lanciata l’idea di un campus vicino al Not che ospiti la scuola di medicina, il Cibio, ma anche le aziende che vorranno investire nel biotech. Quattrone: «Ora il trasferimento a Rovereto è più complicato, si può portare la parte industriale»


Ubaldo Cordellini


Trento. «Una città orgogliosa, che sappia guardare al futuro e giocare un ruolo di leadership al servizio anche delle valli». Lorenzo Dellai introduce così l’incontro organizzato dal Cantiere-Upt per discutere della necessità di realizzare un campus biomedico che ospiti la nuova scuola di medicina, il Cibio e un vero e proprio distretto del biotech. Un progetto che, come già accaduto in passato con le nuove iniziative lanciate dall’Università, potrebbe portare sviluppo non solo per la ricerca, ma anche per il tessuto economico. Per questo ieri pomeriggio al Muse sono arrivati in molto per seguire l’incontro con gli ex dirigenti della Provincia Fernando Guarino e Claudio Bortolotti, il presidente dell’Ordine dei medici Marco Ioppi e il direttore del Cibio Alessandro Quattrone e le conclusioni di Ianeselli e dell’assessora comunale Chiara Maule. Tutti si sono trovati d’accordo nel dire che medicina, insieme con la costruzione del nuovo ospedale Not, è una grande occasione per la città di Trento. Un’occasione che, però, va colta e sfruttata al volo. Quattrone, citando l’Ecclesiaste ha detto che si deve fare in fretta: «C’è un tempo per tutte le cose e il campus o si fa presto oppure se ne riparlerà tra dieci anni quando la scuola di medicina si sarà assestata». Guarino, introducendo il dibattito, aveva ricordato che un luogo fisico unico che unisca sia le funzioni della ricerca che quelle dell’insegnamento e quelle produttive sarebbe un vero e proprio volano di sviluppo: «Le imprese private sarebbero molto interessate a un progetto di questo genere. Sarebbe un progetto per il futuro della città. Bisogna avere visione e voglio ricordare che quando nacque Biotecnologie proprio la Lega non la voleva perché diceva che sarebbe stata una fabbrica di disoccupati. Invece adesso il Cibio attira ricercatori che vincono i più prestigiosi premi internazionali e la facoltà di biotecnologie è talmente ambito dagli studenti che ci sono 15 candidati per ogni posto disponibile. In questa situazione, abbiamo molti trentini che si vanno a curare in Veneto, in Lombardia e perfino in Alto Adige. Noi dobbiamo essere in grado di mettere a sistema il nuovo ospedale, che dovrebbe essere costruito pensando anche alle funzioni di ricerca e insegnamento, con Protonterapia, il Cibio e la nuova scuola di medicina. Magari nella zona della caserma Fersina. Così anche le imprese farmaceutiche e del biotech sarebbero interessate ad investire. Ci vuole un disegno ambizioso che faccia crescere la città». Ioppi ha ricordato che ogni anno mille medici lasciano l’Italia per andare a lavorare all’estero: «È come se regalassimo mille Ferrari all’anno. La formazione di ogni medico ci costa 230 mila euro e noi li regaliamo all’estero perché qui non vengono valorizzati. Con un sistema della salute a tutto tondo, i medici formati qui resterebbero perché ci sarebbe occasione di crescere, di fare ricerca e di progredire. Per questo il progetto dell’Università di Trento è innovativo, perché tiene conto di questa esigenza. È un’occasione imperdibile, ora dobbiamo solo coglierla al volo». Quattrone rincara la dose: «Qualche mese fa si parlava di portare il Cibio a Manifattura domani a Rovereto, prima ancora si pensava a Piedicastello. C’è bisogno di un progetto unitario. Non si deve fare lo stesso errore che è stato fatto con Povo. Certo, ora trasferire il Cibio a Rovereto è più complicato. Non si possono separare biotecnologie e medicina e nemmeno la ricerca, a Rovereto, però, si potrebbe portare la parte industriale». Bortolotti, poi, ha ricostruito il rapporto tra la città e il fiume individuando nelle aree vicine all’Adige e al Not la zona in cui far sorgere un moderno polo del biotech e della medicina.

Ianeselli ha chiuso ricordando il ruolo dell’Università: «Trento aveva 70 mila abitanti e 200 studenti, all’inizio. L’Università è stata volano di sviluppo e ora la città non si sente periferia. Ora l’Ateneo ha elaborato un progetto più alto, che non è una semplice fotocopia di un’altra università e dobbiamo essere in grado di svilupparlo. Trento ha anche problemi, ci sono pezzi di città che sentono di arrancare e vanno ascoltati, ma io non li chiamo hinterland come fa il mio avversario. Sono sobborghi con una loro anima che sono da curare e seguire».













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