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Storia di Street che vive in strada con l’elemosina: «Dura, ma è così»

«Sono cuoco, ma a 58 anni non ti prende nessuno. I posti per la carità sono controllati dagli zingari, se li spartiscono. Dormitorio? La prima volta mi hanno rubato tutto


Daniele Peretti


TRENTO. Non puoi non notarlo, tutte le mattine è in piedi a fianco dell’ingresso della Coop di piazza General Cantore, le mani vicino al corpo con una riservata dignità e con un imbarazzo propri di chi non chiede la carità per lavoro, ma perché costretto dal bisogno. Educato, un saluto per tutti chiede a stento «perché la gente capisce che sono in difficoltà e mi aiuta. Io non insisto, ma ringrazio».

Lui è «Street» nome di fantasia che ha scelto, ha 58 anni originario di Tione ed ha una storia da raccontare.

Street, cosa ha fatto nella vita?

«Hofatto il cuoco per 40 anni, gli ultimi cinque in Inghilterra e posso dire che non mi facevo mancare nulla. Dilapidato? Forse, ma non mi pento. Un giorno ricevo la telefonata di mia mamma che mi chiede se posso tornare in Italia per esserle a fianco negli ultimi anni di vita. Avrei un fratello ed una sorella che non vedo da trent'anni, ma lei sceglie me».

Lascia l’Inghilterra e torna a Tione.

«Assisto mia mamma per due anni in una situazione nella quale non potevo lavorare e spendiamo molto nelle cure. Quando muore, iniziano le limitazioni per la pandemia e mi ritrovo fuori dal giro. Tra l’Inghilterra ed il periodo a fianco di mia mamma, sommato a quello del lockdown, mi hanno fatto perdere i contatti e mi ritrovo in mezzo alla strada».

Ma i servizi sociali?

«Tante parole e pochi fatti, ti seguono per un periodo e poi ti devi arrangiare».

Sembra impossibile essere disoccupato con la qualifica di cuoco.

«A spaventare è la mia età che è la prima causa per la quale non mi scelgono. Riesco a fare le stagioni estive, l’estate scorsa ero in un hotel di Lavarone e si facevano 350 coperti a pranzo e cena, ma poi mi manca il gancio per l’inverno. La richiesta è diversa per la stagione invernale: chiedono personale che sappia fare il pane e la pasticceria, che non sono cose proprie del cuoco, e così con quello che guadagno in estate non riesco a viverci tutto l’anno. Poi sa una cosa?»

Dica.

«Non riesco più a tirare fuori le unghie per lottare. Ho perso i miei genitori e mia moglie: quello che provo lo tengo nel cuore e non faccio scenate. Vivo in strada, ma è difficile molto difficile andare avanti».

Come decide di chiedere la carità?

«Decisione durissima, ma... o morivo di fame o aprivo la mano in strada, non avevo altra scelta».

Com’è stato l’impatto?

«Molto duro, e mi sono salvato solo perché sono italiano, che nel giro è una figura ancora rispettata. La città è divisa in zone controllate dagli zingari; alla mattina presto ci si ritrova in stazione che è uno dei luoghi dove per la maggior parte si passa la notte, e si prende un caffè».

Come avviene il controllo della città?

«Non ci sono zone libere, se entri devi pagare chi controlla, se non lo fai ti tengono d’occhio ed alla prima occasione te la fanno pagare».

Lei però è riuscito a scalzare i questuanti di professione in una piazza General Cantore che è sempre stato loro.

«Ho detto chiaramente che non avevo paura e che non esiste l’idea del controllo. Subito sono andato in piazza Duomo, ma erano discussioni continue; poi ho trovato questa piazza e mi sono messo al mio posto».

Quali sono i problemi? Ne ha avuti?

«Si sono messi di fronte a me anche in due, per Natale è arrivata una ragazzina, ma la gente ha imparato a conoscermi e la carità la fa a me, e non a loro, ed alla fine non guadagnavano abbastanza per restare».

Com’è il rapporto con la gente?

«Di reciproco rispetto. Non insisto, tanto ormai tutti sanno perché sono lì. Se qualcuno si ferma a parlare dialogo volentieri ed ormai mi portano di tutto. Senta come pesa il mio zaino: ho cena e colazione. Qualche signora cucina anche qualcosa solo per me e me lo porta. Così ho un pasto decente».

A mezzogiorno, come fa?

«Vado al Punto d’Incontro, ma alla sera o sei in un dormitorio oppure non è facile mangiare».

E’ stato nei dormitori?

«Si, nell’ultimo, in quello nuovo di Via Lavisotto, in una notte mi hanno rubato il cellulare che conteneva tutta la mia vita: fotografie, curriculum e numeri di telefono cosa avrei dovuto fare chiamare la Polizia e far mettere sotto sopra i locali?»

I contatti li tiene ancora?

«Certo, se c’è posto telefonano; ma se non rispondi passi in fondo alla lista ed hai davanti una cinquantina di persone. Quello che ho adesso è un vecchio cellulare che funziona a colpi e quella telefonata l’ho persa».

Sa fare il cuoco, ma un’occupazione nell’ambito della rete di accoglienza non si trova?

«Sono stato tra coloro che hanno aperto Casa Maurizio del signor Palatucci, ho lavorato per un periodo ma anche lì le cose cambiano».

Con la carità riesce a vivere decentemente?

«Se avessi un posto per dormire potrei anche farcela; ma così è molto difficile. Con quello che raccolgo non entro certo alla Coop, ma vado nei discount dove con una decina di euro si può imbastire un pasto. Abbiamo un luogo di ritrovo dove dividiamo quello che abbiamo perché tra di noi c’è anche chi non ha proprio nulla. Faccio così anche in estate, quando prendo lo stipendio, conosco chi ha veramente bisogno e divido quello che ho: la strada per chi la vive per bisogno è anche solidarietà».

Ma gli alimenti che rimangono nelle mense dei dormitori non potrebbero essere dati a chi non ha da mangiare?

«L’assurdo è che tutto viene buttato per fare spazio a quello che arriva il giorno dopo. C’è chi lo chiede proprio per portarlo a chi ha fame, ma non glielo danno lo stesso».

Mentre parliamo con Street colpiscono i suoi occhi azzurri che non sono spenti, ma hanno una luce di speranza. Ha la forza di sorridere anche quando il racconto si fa crudo. Al bar abbiamo bevuto una Fanta, ma non ha voluto nulla da mangiare: «Mi basta quello che ho, le cose in più non servono».

Ci salutiamo e Street zaino in spalla, andrà a raggiungere il posto dove passerà la notte. Ci salutiamo dandoci la mano augurandoci buona fortuna.

 













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