IL LIBRO

Quelle 52 madri dei suoi 52 fratelli



 signore subito gli domandò:  "E lei, mi dica, dov'è nato?"  "A Viadana, in provincia di Mantova" rispose Iacopo.  "Ah... non la conosco. È bella?"  "Bellissima, una cittadina tranquilla e non troppo piccola."  L'uomo assunse un'espressione furtiva, si guardò attorno e, abbassando la voce si avvicinò a Iacopo sussurrando:  "... e lei, mi dica, in quale città intende morire?"  Iacopo restò interdetto e rispose divertito:  "Francamente non ci ho mai pensato."  "Sbaglia" disse con decisione, rialzando la voce e tornando in posizione normale.  "Mi creda" continuò "è molto più importante dove si muore, rispetto a dove si nasce. È una stupidaggine portarsi dietro per tutta la vita, sui documenti, nelle biografie come dato distintivo, addirittura sulle lapidi delle tombe il luogo in cui si è nati. Ma chissenefrega! Non l'abbiamo mica scelto noi."  Guardò fuori dal finestrino la pianura che correva veloce.  "Pensi invece che bellezza, che libertà poter decidere la città dove morire! Lione, Coimbra, Lerici, Toutsouras, Chambery..."  Si girò di nuovo verso Iacopo.  "E poi quando nasci, non ti accorgi proprio dove sei, quando muori eccome se lo sai! L'ultimo pezzo di cielo dietro la finestra, le ultime pietre di un muro. Anche solo per questo sulla carta d'identità non dovrebbero scrivere Nato a... ma piuttosto Morirà a... Poi se non capita, pazienza, nella vita tutto può succedere, e puoi anche morire improvvisamente dove meno vorresti. Ma dichiararlo farebbe un gran bene a tutti. Costringerebbe a pensarsi."  Tornò ad abbassare la voce, piegandosi in avanti:  "Basterebbe prevedere l'obbligo per ogni cittadino, al compimento dei quattordici anni, di presentarsi all'anagrafe a dichiarare dove morirà e, quindi, scriverlo sui documenti. E basterebbe consentire di cambiare scelta a ogni rinnovo quinquennale della carta d'identità."  Iacopo si vide al tavolo delle stipule, dove mille volte aveva chiesto ai clienti i dati anagrafici, ripetendoli alla dattilografa perché li scrivesse nell'atto. Nato a Cremona, Sassuolo, Rovigo. Tutto molto anonimo e grigio, in effetti. Mentre, caspita, come avrebbe reso tutto più stimolante e vivo poter chiedere: E lei dottor Rossi, dove morirà? Si immaginava lo sguardo in attesa degli altri clienti, degli avvocati, del funzionario della banca, e poi quello fiero del signor Rossi:  A Trieste.  Bella scelta davvero. E lei signor Bianchi?  Una pausa di silenzio e poi la risposta:  Io morirò a Santiago, in Cile.  E tutt'attorno mormorii di approvazione e cenni ammirati di compiacimento.  L'uomo sembrò leggergli nel pensiero e gli chiese:  "E nella vita lei cosa fa?"  "Il notaio."  "Ah, che fortuna! Io ho sempre desiderato fare un lavoro così eccitante."  Iacopo ebbe la sensazione netta che adesso l'uomo lo stesse prendendo in giro. La professione notarile era certo redditizia e prestigiosa ma assolutamente l'esatto opposto, di qualcosa di eccitante, con quel ripetersi infinito di atti sempre identici.  "Mi dica" continuò l'uomo "le capita spesso di affezionarsi ai suoi clienti?"  L'espressione di Iacopo, forse più chiara di una risposta, lo fece ridere:  "Intendo alle loro storie! Deve essere fantastico scoprire la tristezza per una casa venduta e la gioia per una acquistata, navigare tra debiti e crediti, testamenti, liti tramandate per generazioni, figli illegittimi, tradimenti..."  L'uomo si fermò per un attimo a guardare il Po che, proprio in quel momento, scorreva imponente sotto il ponte di ferro e, appena superato l'argine, continuò:  "... immagino sia irresistibile entrare in tutte quelle vite."  Cazzo.  Quello sconosciuto, senza saperlo, gli stava forse parlando di suo padre? Che fosse quella la chiave del suo segreto? Che si fosse sperduto tra le mille vite che gli erano passate davanti, nascoste dietro il freddo linguaggio degli atti notarili, desiderando morbosamente di viverle tutte?  Avevo bisogno di loro per dare la vita, gli aveva detto il mattino di due giorni prima, consegnandogli il quaderno nero con i nomi delle cinquantadue madri dei suoi cinquantadue fratelli.  Fuori dal finestrino, oltre la sbarra di un passaggio a livello, quattro cani per strada correvano verso una piazza.  Sì, doveva per forza essere così. Aveva seminato figli nel mondo perché vivessero le vite che lui non poteva vivere.  Quelle dei figli di povere puttane, destinati a diventare ladri, manovali, garzoni, lavandaie... Tutte così lontane e diverse dalla sua ma bellissime, colme di passioni, di miserie, di sogni. E poi, alla fine della sua vita, aveva deciso di aprire gli occhi anche a lui, mandandolo a Ferrara.  Ora aveva voglia di correre a casa a parlare con suo padre, voleva capire chi era dietro la faccia.  Guardò lo sconosciuto, scivolato anche lui chissà dove, e poi gli altri viaggiatori dello scompartimento che in quel momento stavano zitti, e gli parve di poter vedere, per la prima volta, il ribollire incantato che ogni uomo ha dentro.  Stupido, che per tanti anni aveva guardato solo l'involucro. Per forza che non ascoltava nessuno, che non provava interesse per tutte quelle che aveva sempre considerato chiacchiere inutili, e che invece erano piccole feritoie, aperte apposta per lasciarsi scrutare dagli altri nel segreto custodito dal corpo.  Era confuso, stremato dalle bufere che gli erano piombate addosso, aveva voglia di muoversi, di respirare. Vide che il treno ormai stava arrivando a Mantova e decise di alzarsi con un po' di anticipo.  Prese la borsa e salutò lo sconosciuto:  "Grazie di tutto, davvero."  Lui rispose con un sorriso.  Iacopo fece scivolare la porta di vetro che dava sul corridoio e quando fu fuori si girò e, prima di richiuderla, gli disse:  "Io morirò a Ferrara."  Nel ballatoio, davanti alla toilette, c'era già una donna grassa che stava ferma davanti alla porta per scendere, con due enormi sacchetti chiusi con dello spago. Si piegava continuamente verso il piccolo finestrino, con l'ansia di capire se il treno era entrato in stazione.  Nella fila di persone in attesa che si era pian piano formata, una signora con un grande cappello stava raccontando a un uomo di un sogno:  "... una cosa orribile, credimi. Tenevo in braccio questo bambino mai visto che piangeva e cercavo di consolarlo, quando improvvisamente gli si stacca la testa e comincia a rotolare per terra, in una strada in discesa..." Fece un grande sospiro.  "Mi sono svegliata di soprassalto col batticuore. Un incubo assurdo."  Il treno si fermò al binario ma la donna grassa anziché aprire la porta, si rivolse con aria stupefatta alla signora:  "... aveva i capelli rossi quel bambino?"  Tutte le persone in fila si girarono per sapere la risposta, videro il grande cappello che annuiva e allora tornarono a guardare la donna, che continuò:  "La testa è arrivata rotolando nel mio sogno, proprio ai miei piedi. L'ho raccolta e quando l'ho presa in braccio aveva di nuovo il corpicino e il bambino non piangeva più, anzi si era messo a sorridere."  Iacopo scese dal treno pensando ai suoi sogni monotoni, pieni solo di stipule in ufficio e di rimproveri di suo padre. Ma adesso, pensò, avrebbe cambiato anche quelli. Dario Franceschini  Il brano riportato per gentile concessione dell'editore Bompiani è tratto da "Daccapo" (pagine 220, 16,90 euro), l'ultimo romanzo del deputato del Pd Dario Franceschini, da poco in libreria e già in ristampa dopo aver esaurito in due giorni la sua prima edizione.













Scuola & Ricerca

In primo piano