Quanto costa la pelle dell’orso

Un romanzo d’iniziazione e d’avventura. Il nuovo libro di Matteo Righetto fra le Dolomiti e il Vajont


di Paolo Mantovan


di Paolo Mantovan

Domenico è un ragazzino costretto ad affrontare il senso della vita nel giro di qualche giorno. Ha dodici anni, è orfano di madre, e vive con il padre, un uomo che sta scivolando verso l’abbrutimento alcolico. Ma papà Pietro, divenuto violento con la vita e anche con il figlio, all’improvviso ha un sussulto: prende per mano Domenico e lo porta verso un’avventura che supera l’immaginazione. Un’avventura che lo riscatti e gli riconsegni la dignità perduta. Padre e figlio andranno insieme a cacciare l’orso più grande che si sia mai visto, che sta terrorizzando il paese, la valle, l’intero “mondo” di Domenico: è l’Highlander degli orsi, quello che - ecco la fiaba e la leggenda - già ottant’anni prima aveva imperversato nei boschi seminando vittime e terrore. Non è un semplice orso, è “El diàol”.

La storia corre come i pensieri di bambino di Domenico. Pensieri aguzzi, che bucano persino la pur cruda realtà vista dagli occhi di un ragazzino. Pensieri che vogliono inventarsi la via di fuga dal pericolo che i sogni non si avverino. E, pur nella gioia di correre verso una grande avventura, nello scoprire (e che scoperta stupenda) che il padre lo ama, pur facendo correre la fantasia di riuscire a stupire tutto il paese, Domenico finisce invece per vivere in poche ore i drammi più spaventosi, diventando precocemente adulto. Un adulto bambino, certo. Che però dovrà guardare in faccia la tragica sberla del Vajont. Che cancella tutto.

«La pelle dell’orso», di Matteo Righetto (Guanda ed., 153 pag. 14 euro), è una fiaba con uno straordinario impatto emotivo. E’ una fiaba dolomitica, all’incrocio delle terre ladine, ma che ha al centro Colle Santa Lucia, Livinallongo, l’area ladino-bellunese delle Dolomiti. Ma che tocca anche il Pordoi e la val Gardena. «La pelle dell’orso» è un viaggio nell’essenza montanara, nell’ enormità, nella meraviglia, nella saggezza e, in taluni momenti, nella limitatezza del carattere alpino. La scrittura «semplice», impreziosita da alcuni termini dialettali, ha la rabbia dell’immediatezza, la sfrontatezza della velocità, catapulta il lettore dal pensiero del bimbo alle meraviglie della natura, dai colori autunnali ai pregiudizi sulla natura, alle meschinità degli uomini. E lo fa alternando dialoghi e azione che si mescolano con netti colpi di spatola. Matteo Righetto ci fa battere forte il cuore quando l’orso, anzi, “El diàol” si avvicina sempre più rapido a padre e figlio, e riesce a coinvolgerci nel viaggio d’iniziazione di Domenico, facendoci condividere la sua certezza, ossia che gli uomini sono più crudeli della natura.

«La pelle dell’orso» è un libro che si beve in un fiato. E questo - il lettore lo comprende perfettamente - è già da solo testimonianza di qualità, anzi, un eloquente certificato di qualità. Ma non è questione solo di ritmo. C’è lo scorrere della vita. Della morte. C’è la saggezza. C’è la fanciullezza. Merita di essere letto. In un fiato.













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