M49 fa razzia di pecore e capre 

Al passo Manghen. Assalto notturno dell’orso a malga Agnelezza: quattro gli animali morti mentre altri due hanno riportato gravi ferite Alberto Nones: «Serve un intervento immediato». E al ministro Costa: «Venga qui con noi per capire come viviamo, con la paura di aprire la porta»



Trento. Che sia stato M49 è una certezza. La zona è quella in cui l’orso fuggito al Casteller si muove, vagando fra la val dei Mocheni e la val di Fiemme e la conferma arriva anche dai forestali che monitorano l’animale. L’allarme è scattato alle 4.30 della notte fra sabato e domenica da chi a malga Agnelezza, a passo Manghen, si prende cura ogni giorno di pecore e capre. Un allarme solo per avvertire, perché ormai non c’era nulla da fare: l’orso è arrivato ha sbranato due pecore e due capre, ne ha ferite altre e se ne è andato. Un blitz che fa aumentare la rabbia dei pastori e che fa tornare prepotentemente d’attualità il tema della convivenza con l’orso.

«Situazione ingestibile», è il commento amareggiato di Alberto Nones, presidente dell'associazione allevatori caprini Fiemme e uno dei titolari della malga Agnelezza e di quella dove quindici giorni fa, tra l'altro, i lupi hanno predato sei capre. «Quello che noi chiediamo alla Provincia è un intervento immediato. Noi abbiamo controlli anche l’inverno sul benessere degli animali in stalla ma non vengono a vedere cosa c’è su adesso in malga. A vedere le capre agonizzanti. Vorrei invitare anche i politici a venir su con noi in malga e provare ad uscire dalla baita alle 4 del mattino. E poi forse cambiano idea. In queste condizioni non si può più andare avanti». E invita anche il ministro Costa. «Ha chiamato M49 Papillon - spiega - ma io vorrei che fosse qui con noi e che fosse lui il primo ad aprire la porta della malga la mattina». Perché adesso come racconta, la paura è vera. «In malga - dice - ho ragazzi della val dei Mocheni, pastori figli di pastore. Conoscono il lavoro, conoscono la montagna, sono abituati a stare in malga. Ma adesso hanno paura. Lo ripeto: non possiamo andare avanti così: non ci sentiamo tutelati. Cosa vogliono? Che abbandoniamo la montagna? E poi cosa succederà. Il lavoro in malga è antieconomico, ma lo facciamo perché lo facevano i nostri nonni, i nostri padri e ora i nostri figli. Ma così non si può andare avanti». Intanto, ieri sera, quasi in servizio di pattuglia, attorno alle malghe del Manghen giravano le macchine della forestale.

A raccontare quello che è successo è un lungo post di Veronica Nones, figlia di Alberto. «Immaginatevi - scrive - di svegliarvi di soprassalto, alle 4.30 di mattina, dallo squillo del telefono. Immaginatevi dall’altra parte una ragazza di 20 anni, nel panico, in lacrime, incapace di spiegarvi cosa è successo. Potrebbe essere vostra figlia, vostra sorella, vostra nipote, potreste essere voi se solo aveste il coraggio di scegliere un mestiere come questo. Le mani che tremano, la voce spezzata, le gambe molli per la paura, per il dolore nel vedere gli animali che curi con così tanta passione soffrire mentre impotente conti le vittime. Volete la botte piena e la moglie ubriaca. Volete le montagne pascolate, pulite, tenute in ordine da gente che si fa in quattro ma che non siete in grado di proteggere. Volete il lupo, volete l’orso, volete tutto e non volete fare niente per arginare il problema».













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