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La chiesa del Redentore vittima di muffe e umidità

Da dieci anni si parla di un restauro, ma nel frattempo le cose sono peggiorate Raro esempio di stile neo romanico vede a rischio anche le decorazioni pittoriche


di Sandra Mattei


TRENTO. Più di dieci anni fa l'annuncio che per la chiesa del Redentore, quella in via San Giovanni Bosco a suo tempo all'interno dell'istituto Sordomuti ed ora in grave stato di degrado, c'era finalmente la speranza di un restauro. Era il 2004, ed a metà del 2015 la situazione per la chiesetta è ancora la stessa. Anzi. Dopo quasi undici anni il degrado è ancora più evidente e lo stato di abbandono rischia di compromettere un edificio che è uno dei rari esempi in città di stile neo romanico.

Un'architettura elegante, con una doppia entrata su via San Giovanni Bosco ed un rosone con lo stemma vescovile, mentre l'interno è caratterizzato da un bel loggiato sostenuto da 14 colonne dai capitelli decorati e da un grande affresco di Cristo Pantocratore. Ora, per la chiesa che rende ancora più desolato l'angolo tra via Piave e via San Giovanni Bosco, dove si apre il buco “Tosolini”, potrebbe finalmente essere la volta buona. Ne parla il direttore della Casa civica di riposo, Mauro Chini.

La struttura infatti, quando l'Istituto vescovile de Tschiderer per sordomuti vendette l'edificio a Tosolini, acquistò ad un prezzo simbolico la chiesa annessa ed avviò le procedure del restauro: era il 1994, ma a distanza di 21 anni si attende ancora l'intervento. Chini annuncia che il nuovo progetto, realizzato dall'architetto Alberto Dalpiaz, è stato ammesso nella graduatoria provinciale nell'autunno del 2014 ed ora si attende la risposta per il finanziamento.

«La chiesa – spiega Chini – fino a quando c'erano gli ospiti anziani, era utilizzata da loro. In seguito, dopo il loro trasferimento in parte all'ex ospedalino in via della Collina e in parte alla Rsa di San Bortolomeo, è stata aperta per alcuni mesi all'anno, in occasione del grande presepe esposto. Ora sono anni che non viene più aperta ed i segni dell'umidità per la scarsa areazione e per la mancata manutenzione sono preoccupanti».

Stessa preoccupazione è espressa nella relazione che accompagna il progetto preliminare per il restauro, dell'architetto Dalpiaz. Spiega il progettista: «La parete ad est, quella che era collegata con l'istituto de Tschiderer, presenta notevoli infiltrazioni d'acqua piovana ed anche alla base, le pareti sono interessate dall'umidità di risalita.

L'umidità all'interno della chiesa, inoltre, a causa del mancato arieggiamento e riscaldamento, produce muffe che rischiano di compromettere le decorazioni pittoriche. Anche la lunetta sopra le due porte d'ingresso, che raffigura la Madonna, è fortemente compromessa e l'intervento di restauro non può essere protratto oltre un anno, massimo due, se si vuole evitare che il degrado sia irreversibile». Il progetto presentato alla Soprintendenza, aggiunge Dalpiaz, è diviso in due parti: uno per le parete esterne con un costo di 288 mila euro, l'altro per l'interno e per la parti pittoriche, di 199 mila euro.

L'originale costruzione, che è impreziosita da decorazioni floreali e geometriche e dalla raffigurazione del Cristo pantocratore di Luigi Spreafico, ha attirato l'attenzione di un gruppo di studenti di Ingegneria civile, ambientale e meccanica, che seguono il corso di restauro tenuto dalla professoressa Alessandra Quendolo. Sotto la guida della docente, gli studenti hanno raccolto documenti di storia e di analisi dei materiali utilizzati per la costruzione della chiesa ed hanno finalizzato questa ricerca in materia per sostenere l'esame.

«Mi ha colpito - racconta Quendolo – lo stato di sofferenza della chiesa ed ho pensato che lo studio di un progetto di recupero e di riutilizzo, poteva essere oggetto del corso di restauro. Gli studenti hanno iniziato a lavorare sulla chiesa in febbraio, con la collaborazione di Nicola Badan, Joel Aldrighettoni e Carla Larenza ed ora presenteranno agli esami i loro elaborati. L'idea è quella di realizzare anche una mostra dei progetti, in modo da coinvolgere la città sul recupero di un patrimonio di Trento».













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